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Arte & Cultura

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TAPPA 6 : NOVAZZA-LIZZOLA

GROMO

Gromo, sorge su un promontorio roccioso, circondato da prati ed abetaie, con le sue case raggruppate coralmente attorno al castello Bucelleni.

Il paese, famoso nell'antichità per le sue miniere di ferro ed argento e per le fabbriche e fucine di armi bianche, ha una consolidata tradizione nel settore della villeggiatura e degli sport invernali.

Gromo è un paese di montagna d’antica nobiltà medievale protetto dai massicci del Monte Redorta a nord e del Monte Secco a sud. Il borgo si estende sulla riva destra del fiume Serio ed è situato sulla sommità di un enorme masso che sembra sbarrare la valle.

A rendere Gromo uno dei gioielli della montagna bergamasca è il mix di arte, storia e natura che lo caratterizzano.

Gromo, che fa parte del circuito de “I Borghi più belli d’Italia” ed ha ottenuto la “Bandiera arancione” del Touring Club Italiano, sorge su un promontorio roccioso, circondato da prati ed abetaie. Il paese, famoso nell’antichità per le sue miniere di ferro e di argento e per le sue fabbriche di armi bianche, mantiene nella parte alta dell’abitato il compatto tessuto medievale.

Nella parte alta dell’abitato, Gromo mantiene il compatto tessuto medievale, con case in grossi blocchi di pietra, aperte da logge e balconate. Le ricchezze artistiche custodite da questo affascinante borgo sono quasi tutte raccolte nella piazza centrale dominata da un’elegante fontana del sedicesimo secolo.

Si tratta di una fontana circolare di marmo bianco che, sul trono cilindrico centrale, eleva la figura di un cigno che fu l’antico emblema della secolare comunità che abbracciava i tre paesi di Gromo, Valgoglio e Gandellino.

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Tra gli edifici più significativi  occorre ricordare il quattrocentesco Palazzo Milesi (ora Municipio) con l’elegante loggiato e l’archivio civico con le preziose pergamene,

ll  palazzo comunale ( Palazzo Milesi) , con i rivestimenti ed i cantonali di marmo grigio venato delle vicine cave di Ardesio, è opera del secolo XV ed è per notizie tramandate che si fa risalire all’anno 1456. I profili delle cornici e le profilature dei contorni delle finestre a curvatura di semiarco, sono autentici. Alla stessa epoca risale anche la struttura a travetti che forma il soffitto nel salone centrale del primo piano, oggi sede della Sala Consiliare. Due loggiati, sovrapposti al portico di pianterreno, presentano quella tradizione lombarda delle camere accostate tra loro con l’ampio disimpegno delle logge utili per lavori della vita quotidiana. I capitelli delle colonne, con foglie angolari ripiegate in volute, denotano la tipica edilizia dei decenni susseguenti alla metà del quattrocento. Il corpo del fabbricato, a forma rettangolare, si eleva per due piani.

L’interno attualmente conserva dei bei soffitti a cassettone dipinti ed un solo soffitto affrescato nell’800 con una “leda e il  cigno” nel medaglione centrale ed una decorazione monocromatica intorno. Fino all’inizio del ‘900 un importante ciclo di affreschi ornava le pareti dell’ultimo piano del palazzo ed aveva come tema la vendita delle armi forgiate in Gromo in epoca rinascimentale. Questi affreschi, attualmente riconoscibili in alcuni punti del palazzo, sono stati coperti da intonaco su disposizione nel 1908 di Valerio Milesi, allora proprietario del Palazzo. La nobile costruzione civile e di belle proporzioni, venne venduta al comune dalla famiglia Milesi nel 1924 ed è unico esempio nella provincia che non abbia subito alterazioni stilistiche con l’avvento dell’arte barocca.

Il duecentesco Castello Ginami (XIII sec.),  che conserva la struttura originaria, venne costruito dal figlio primogenito della famiglia Ginami dei Licini nel 1246 in una zona particolarmente favorevole dal punto di vista strategico: questo è infatti situato sullo sperone di una roccia in posizione elevata rispetto al piano dove scorre il Serio, punto di passaggio obbligato, d’avvistamento e di difesa. La struttura muraria risale al XVI secolo; è rimasta quasi intatta solo la torre del castello che sovrasta l’intero edificio. Nel XIX secolo passò alla famiglia Gelmini, poi alla curia di Bergamo ed infine ad una società privata.

All’interno si trovano alcune raccolte antiche di notevole valore: ricami del Settecento, acquasantiere di vari secoli ed alcuni tra i più singolari oggetti bergamaschi come una “vestina” da battesimo del XVIII secolo, una culla, un cofanetto di nozze del ‘400 e i cosiddetti “vasi della sposa” con fiori di stoffa e bozzoli del secolo scorso. In uno dei saloni si possono ammirare anche un magnifico soffitto ligneo a cassettoni decorato ed uno stupendo lampadario in ferro battuto con l’emblema del comune.

Castello e Torre Priacini o Torre del Lavanderio

Il castello ha una storia antica, la famiglia Priacini che da il nome al castello, risulta spostarsi nel XIV secolo a Bergamo, abiterà la torre Migliavacca dei Rivola, sarà Antoniolo Priacini nel 1399 a donare la torre alla Fondazione MIA con l’impegno di trasformarla in un ospedale

Un documento del 1428 nomina il Castello Priacini sopra un dosso del borgo di Gromo verso il torrente Goglio di proprietà della famiglia Bucelleni. Resta visibile, nella sua parte originale, solo la prima porzione della torre, detta del Lavanderio, mentre il resto del castello ha subito nel corso degli anni varie trasformazioni. La proprietà passò dalla famiglia Milesi, a quella Avogadro, ai Ciuffrida che ne compirono una grande ristrutturazione per passare poi alla famiglia Lubrini.

Torre Lavanderio

La torre del Lavanderio si eleva su un poggio dominante la valle. Dal catasto del 1784 compare nella zona del Bure un castello con Torre del Lavanderio di proprietà Franzini. Tale palazzo che si presenta attualmente di stile castellano con torre e merlatura, nel cortile interno mostra un porticato e delle bifore. La proprietà si attribuisce dapprima ai Milesi, agli Avogadro, poi ai Ciuffrida ed infine ai Lubrini.  Il nome originale potrebbe essere anche Torre del Lavanderio per la presenza di una grande fontana a vasca per l’abbeveramento degli animali allevati. Resta visibile, nella sua parte originale, solo la prima porzione della torre, detta del Lavanderio, mentre il resto del castello ha subito nel corso degli anni varie trasformazioni

Da lì ci si può inoltrare nel cuore del Borgo, con viuzze e scalinate caratteristiche. Lavatoi, fontane, terrazze, cortili tipici dell’epoca medioevale.

 

La  chiesetta di San Gregorio

La Chiesa sussidiaria di San Gregorio, di proprietà comunale, è situata nella piazza principale del paese. Di costruzione cinquecentesca, con portale in pietra di Sarnico e soffitto a botte leggermente decorato, ha subito numerosi rimaneggiamenti sette-ottocenteschi che ne hanno diminuito il valore artistico. Conserva però una pala denominata “La Vergine col Bambino” del 1625 posta sull’unico altare dentro un ancòna di legno intagliata, interessante non solo perché opera di Enea Salmeggia, detto Talpino, ma anche perché tra i Santi Gregorio e Carlo Borromeo la vista si apre su un bel paesaggio con l’abitato di Gromo antica e turrita.

Degno di nota è anche il concerto di campane che tutti i giorni scandisce sonoramente il mezzogiorno nel borgo medievale di Gromo.

 

Merita una visita anche la Chiesa Parrocchiale, Chiesa di San Giacomo e San Vincenzo

L'edificio di culto conserva la struttura originaria romanica nella facciata a sud con le monofore con contorno a sguincio di conci di pietra sagomati sulla parete a sud. Del Quattrocento sono gli affreschi trovati sulla parete del porticato che presenta parte di una crocifissione con l'immagine della Madonna. Il porticato con cinque aperture ad arco sorrette da colonne in pietra poggianti su di un muro in sassi, è di epoche diverse. La prima e la quinta colonna sono sicuramente le più antiche poi adattate.[9] La chiesa è priva di una vera e propria facciata, i quattro accessi all'aula sono tutti laterali.

 

L'ingresso principale è posto sulla facciata rivolta a mezzogiorno, questo perché la struttura della chiesa ha subito nel tempo notevoli rifacimento. L'abside è rivolta a oriente, e oltre i due ingressi a sud, altri due sono posti sul lato nord.

L'accesso rivolto a mezzogiorno, è dotato di un portale cinquecentesco in marmo di Ardesio, con stipiti a forma di pilastri sopra i quali si poggia l'architrave monolitica con al centro il Trigramma di san Bernardino. L'apertura è seguita da una scala a scendere di otto gradini che conduce all'interno della chiesA

L'interno è suddiviso in tre navate, di cui quella centrale più alta e coperta dal tetto di legno a due spioventi, suddivisa da tre grandi archi a sesto acuto in muratura, che la dividono in quattro campate. Le navate laterali, più basse, sono coperte da volte incrociate ricche di stucchi secenteschi. Ogni navata è ulteriormente suddivisa in quattro campate. Le campate a sud poggiano su due grosse colonne del XIV secolo, mentre a nord vi è solo una colonna centrale.

Lungo la navata a sud si trova la Pala di Ognissanti, opera di Antonio Marinoni datata 1527 circa  di probabile opera dei Marinoni è il polittico posto sulla navata di destra raffigurante Giovanni Battista tra i santi Giacomo e Martino, mentre sopra vi sono i santi Sebastiano e Giovanni Evangelista.L'intaglio della cornice, forse lavoro di Donato Prestinari data l'affinità con la cornice del Polittico della Pentecoste del Bergognone e di quello della chiesa di Santa Maria Assunta di Valgoglio e con i pilastrini del coro della basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo eseguite sempre dal medesimo intagliatore.

Il presbiterio, sul lato a est, è a pianta rettangolare molto allungata con una grande finestra semicircolare in vetro istoriato sulla parete di fondo, e una a forma rettangolare, sulla parete a sud che concedono grande luminosità. Sul lato a nord, sopra l'ingresso detto degli uomini vi è il polittico di autore ignoto opera del 1530-50 proveniente dalla piccola chiesa della Crocetta nel 1883, la tela centrale raffigurante la pietà è opera del XVII secolo, di valore è la cornice in barocco alpino, con la rappresentazione di Dio padre sulla parte superiore centrale così come era consentito prima del Concilio di Trento, in alto a destra santa Lucia, e sinistra santa Caterina, mentre sul piano inferiore san Giacomo e san Vincenzo. Sul lato a ovest si trova la cantoria in legno opera di Erasmo Tagliaferri realizzata nel 1883, autore anche del pulpito in noce presente nella parte centrale della chiesa ormai in disuso. Sotto la cantoria vi sono le due tele di sant'Antonio di Padova col Bambino opera di Carlo Francesco Nuvolone e San Luigi di Saverio Dalla Rosa.

 

Sul lato a sud vi sono alcune statue fra questa quella del santo patrono, san Giacomo, realizzata negli anni '60 del Novecento da Angelo Gritti.

 

 

Gromo, con le sue fucine, fu uno dei centri più importanti della lavorazione del ferro e la produzione di armi, di scudi e di corazze, tanto da essere chiamato la “piccola Toledo”. Oggi la Sala delle Armi del Palazzo Comunale ospita il MAP – Museo delle Armi Bianche e delle Pergamene che conserva numerose armi forgiate nelle fucine della valle. Alle pareti delle sale espositive, un singolare spaccato storico: interessanti affreschi cinquecenteschi raffigurano la compravendita delle armi nel XV e XVI secolo. Sempre nello stesso Palazzo Comunale è allestito anche l’ EcoMuseo Naturalistico, in cui due grandi vetrate racchiudono moltissime delle specie animali autoctone: dai volatili ai mammiferi, dai roditori ai predatori.

La zona di Gromo, in termini paesaggistici ed ambientali, è una delle più belle delle bergamasca.

E' caratterizzata da grandi boschi, silenzi ritempranti, acque limpide e fresche, pascoli ed antiche baite per mandriani.

In questa zona vivono parecchi animali della fascia alpina e prealpina: caprioli, scoiattoli, galli cedroni, marmotte, pernici bianche, e chi è più fortunato, può addirittura vedere anche l'aquila reale.

Gromo San Marino ( Gandellino )

La frazione o località di Gromo San Marino dista 1,43 chilometri dal comune di Gandellino di cui  fa parte.

L'antico nome della frazione è Gromo San Martino, con la dedica al santo patrono del capoluogo Gandellino. Questo è documentato negli atti della vendita delle armi, e in particolare in alcuni atti per la vendita dei pomoli delle else del XV e XVI secolo.  In detti documenti è riportato sempre il nome di Gromo San Martino.

Questo nome risulta presente sicuramente fino al 1798. La diffusione devozionale del santo francese è conseguenza alla soggezione della valle al monastero di Tour da parte di Carlo Magno. Probabilmente un errore di trascrizione che poi continuò, ha portato la frazione al nome che ha oggi, considerando che non esiste nessun culto di San Marino in Val Seriana, contrariamente al grande culto a Martino. Si consideri che nel 774, Carlo Magno, devotissimo al santo, consegnò i territori dell'alta valle, tra questi anche questa frazione, al Monastero di San Martino a Tours'.

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Chiesa di Santa Maria Nascente

La chiesa, situata sopra un dosso, è ben visibile dalla valle, e risale al 1350, quando un convento di suore vi si stabilì, convento ora soppresso. Sui lati rivolti a nord e ovest vi è un porticato, con sette aperture ad arco a tutto sesto in pietra arenaria, con colonne in stile toscano.

L'interno si presenta a tre navate, di cui quella centrale più alta rispetto alle due laterali. All'interno sono presenti affreschi riconducibili alla chiesa primaria poi ampliata, alcuni di questi si presume siano opera di Giacomo Borlone de Buschis detto il Borlone, che già aveva lavorato nella valle affrescando la Danza Macabra di Clusone , mentre altri di epoca quattrocentesca rappresentano "Il credo degli apostoli". Sia la navata centrale che il presbiterio sono decorati con medaglie e cornici in stucco di epoca barocca che raffigurano scene della vita di Maria mentre l'ancona lignea posta dietro l'altare è caratterizzata dalla scultura di un Cristo Risorto, opera forse della bottega dello scultore Pietro Bussolo del 1510 circa.

 

Nel piccolo cimitero vicino alla chiesa è tumulata la salma di Alessandro Dordi nato e cresciuto nella frazione, missionario in Perù, assassinato dagli uomini del Sendero Luminoso in Perù nel 1991, dichiarato martire con decreto firmato il 3 febbraio 2015[9] e beatificato il 5 dicembre 2015.

Maslana

Maslana è forse il più conosciuto tra i borghi montani di Valbondione.

Maslana è raggiungibile esclusivamente a piedi dalle ultime case di Valbondione (località Grumetti-Pianlivere), situate proprio a ridosso della stazione di partenza della funivia ENEL che collega il paese con la diga del lago artificiale Barbellino

Sicuramente tra gli angoli più affascinanti del Comune, Maslana si raggiunge seguendo il percorso CAI 332 o il CAI 305.

Lungo il sentiero è possibile vedere resti delle antiche strutture atte alla formazione del poiat, nome del carbone vegetale che veniva anticamente lavorato e che era necessario non solo per l'uso domestico ma anche per la lavorazione dei minerali, come la siderite di cui la zona era molto ricca

Maslana ha mantenuto le caratteristiche dei secoli passati: case in pietra, tetti in ardesia, giardini e fontane.

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Le case, tutte completamente in sassi, si susseguono dividendo la località in quattro contrade: contrada Polli, composta da 15 abitazioni che ospitano 22 unità abitative restaurate e una fontana; contrada Caffi, composta da quattro baite che ospitano 15 unità abitative e due fontane, ed è la località punto di partenza per il Rifugio Antonio Curò; contrada Ca Sura, la più piccola, composta da un unico fabbricato dove vi sono sei piccole unità abitative; contrada Piccinella, quella posta più a nord, con due baite che ospitano sette unità.[1] Le baite non sono collegate ad acquedotti ma il servizio idrico è dato dalle fontane tutte d'acqua sorgiva.

La storia di Maslana è molto antica, era conosciuta con il nome di Macellana, nome di cui non si conosce l'origine. Si ritiene che sia tra le più antiche dell'alta val Seriana quando Valbondione era ancora occupata dal lago alpino poi prosciugato.

 

Maslana è pure il paese degli stambecchi

 

Quando la primavera è alle porte ed i prati di Maslana si vanno ripopolando di stambecchi. Il fenomeno legato alla loro transumanza verso questi luoghi richiama ogni giorno numerosi curiosi ed appassionati di fotografia che salgono fino al vecchio borgo di Valbondione per vederli. Gli ungulati, ormai abituati alla presenza dell’uomo, brucano l’erba indisturbati all’esterno delle baite manifestando poca diffidenza nei suoi confronti. Gli animali pascoleranno nei prati di Maslana fino alla scomparsa della neve alle quote superiori

Il trekking all’osservatorio floro-faunistico di Maslana è semplice : da Valbondione si prosegue  fino in fondo alla strada che costeggia il fiume Serio e. Per salire all’Osservatorio di Maslana si possono scegliere  due alternative. Un sentiero parte dalla funivia Enel e segue la strada fino alle baite di Maslana, l’altro, sul lato opposto del fiume, risale nel bosco ed è probabilmente più suggestivo.

Nato per passione l’Osservatorio di Maslana si trova  a 1340 metri di altezza: un punto panoramico ideale se desideri ammirare le cime e i laghetti montani che lo circondano. L’Osservatorio è edificato con materiali locali sui resti di un’antica baita usata dai pastori durante gli alpeggi.

Una volta giunti all’Osservatorio Floro-faunistico di Maslana si ha  una vista a 360 gradi sui dintorni e un posto in prima fila sulle maestose cascate del Serio, le seconde cascate più alte d’Italia.

Le Cascate del Serio sono formate dall’omonimo fiume pochi chilometri dopo la sua nascita. Sono alte complessivamente 315 m, divisi in 3 salti. Da anni le Cascate sono visibili solo 5 volte l’anno. 4 domeniche ed un sabato (con apertura notturna). Perché si aprono e si chiudono?

Dal 1931 con la costruzione della Diga del Barbellino, il normale scorrere del fiume è interrotto per alimentare la diga e per produrre energia idroelettrica da parte di Enel Energia. Ogni anno il Comune di Valbondione ed Enel Energia si accordano sulle date d’apertura turistica delle Cascate del Serio. Quando si visita la zona delle Cascate non nei giorni d’apertura, semplicemente si può godere del paesaggio e riconoscere il punto di sfogo del fiume Serio.

Esiste anche una leggenda sulle cascate del Serio.

Secondo la leggenda nella zona del Pian del Barbellino viveva nel suo castello una nobildonna innamorata di un pastore che si aggirava con il suo gregge in questi monti. Egli, però, era fidanzato con una bellissima ragazza del borgo, e non intendeva lasciarla. Un giorno la nobildonna fece rapire la ragazza e la fece rinchiudere nelle prigioni del castello che si trova sulle alture del Barbellino. Il pianto della ragazza prigioniera fu talmente forte e disperato da trasformarsi in ruscelli e torrenti che travolsero ogni cosa, castello e dama compresi, modificando il paesaggio e creando il salto dove si tuffa il Serio.

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Lizzola

Lizzola è una frazione del comune di Valbondione dalla storia antica. Si presume che fossero presenti sporadici insediamenti già nell'epoca romana, quando sui monti circostanti furono scoperti giacimenti di ferro. A quel periodo risalgono i numerosi utensili utilizzati per l'estrazione, quali scalpelli e punte, rinvenuti nelle gallerie poste sulle pendici del monte Pomnolo. L'attività mineraria portò un ingente numero di schiavi (citati da Plinio il Vecchio come Damnati ad metalla), le cui abitazioni avrebbero creato il primo agglomerato urbano.

 

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L'estrazione del materiale ferroso dai monti Flesio, Manina, Vigna Soliva, Colle, Pomnolo e Posso - Lupi è molto antica. In zona Passevra, vi sono resti di muri e di una fornace per la cottura del minerale del ferro. Ci sono, sulle cime del Colle, Pomnolo, Manina e Flesio, piccoli fornelli nei quali i nostri antenati cuocevano il ferro a mezzo di legna e carbone, che poi selezionato e diviso dal quarzo, veniva trasportato a valle con le slitte (lise) da addetti chiamati strüsì e in seguito veniva fuso nei forni di Bondione. Il minerale del ferro estratto dalle miniere di Flesio e Vigna Soliva veniva convogliato ai forni fusori di Gavazzo tramite teleferica mentre quello estratto dalla Manina veniva trasportato e cotto a Teveno (Val di Scalve) in seguito poi trasportato a mezzo di carri trainati da cavalli agli alti forni di Brescia. Durante i periodi invernati era impossibile trasportare il materiale con le slitte e quindi veniva messo in depositi chiamati scotèr.

 

Intorno al 1600, prima dell'uso della polvere da sparo, il minerale veniva estratto con il solo uso dello scalpello. Con l'impiego della polvere da sparo e con rudimentali bussole, furono aperte nuove gallerie: Capuccina, Flesio, Ribasso Maria e Chioccia..

 

Sulle pendici delle montagne che circondano Lizzola la neve è di casa per lunghi mesi all’anno sempre in condizioni ideali: farinosa su in alto dove si pratica lo sci alpino lungo piste alla portata di qualsiasi sciatore e giù, nel fondovalle, dove si pratica lo sci da fondo.

Le sue piste da sci si estendono da 1.250 a oltre 2.000 metri e ospitano due rifugi in quota.

Sciare a Lizzola vuol dire anche esplorare avventurosi percorsi nella natura con gli sci d’alpinismo o le ciaspole per ammirare paesaggi unici.