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TAPPA 13 : FIOBBIO-BERGAMO

Santuario Beata Vergine del Miracolo della Gamba-Piazza del Santuario, 24021 Albino BG

La storia ha come protagonista Venturina Bonelli, una piccola contadina di 12 anni, che soffriva da tempo alla gamba sinistra a causa di una cancrena. L'unico rimedio, ormai, era l'amputazione dell'arto, ma la madre si rifiutò e portò la giovane davanti all'Altare della Madonna, nella Chiesa della Ripa, dove pregarono e piansero. Dopo alcune ore, Venturina ebbe l'apparizione della Madre di Dio, che le curò miracolosamente la gamba inferma, guarendola completamente. Era il 9 ottobre 1440. Per ringraziare la Vergine, la famiglia Bonelli e la popolazione del piccolo paese ingrandirono e decorarono la Chiesa della Ripa, invocando al Miracolo della Madonna. Nel 1579 la casa dove avvenne l'apparizione fu trasformata in chiesetta, divenendo in seguito il futuro Santuario.

Il santuario intitolato alla Madonna della Gamba, si trova nel centro della frazione di Desenzano al Serio, venne edificato sopra una piccola chiesa preesistente costruita ottemperando al lascito testamentario di Giovan Battista Marinoni detto Bettoni che aveva donato l’abitazione dove un tempo era avvenuta l’apparizione della Madonna e la miracolosa guarigione della giovane Venturina. Il primo luogo di culto dedicato alla Madonna si trovava leggermente spostato, in località Ripa, dove si conservavano le bende miracolate, ma era molto viva la devozione nella valle da richiedere nuovi spazi

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La prima costruzione del 1599 fu una semplice cappella che venne successivamente modificata e abbellita. Nel 1691 venne posta un architrave sulla porta d’ingresso con il nome del cappellano Carlo Brescianini che aveva seguito la ristrutturazione e nel 1700 nella visita pastorale il vescovo Luigi Ruzzini ce ne lascia una descrizione a Desenzano c’è un oratorio della B.V.Maria detta del miracolo che ha un copertura a volta decorata con stucchi che c’è un altare con tre gradini di mezzo ai quali da un’inferriata si vede nella cripta una statua in legno dela Betata ergine china su un bambina inferma adagiata su di un lettuccio. L’esterno della chiesa è decorato con pitture che raccontavano gli eventi miracolosi.

Nel 1724 l’edificio venne completamente restaurato su progetto di Giovan Battista Caniana. Il progetto aveva previsto anche la demolizione di alcune abitazioni adiacenti. Anche l’antica torre del Castel secco venne distrutta e le pietre utilizzate per la nuova costruzione, questo grazie all’autorizzazione della repubblica veneta. La parte strutturale venne ultimata entro il 1740

L'attuale Santuario, rifatto dalle fondamenta, vide la luce solo intorno al 1740. La parte esterna dell'edificio sacro è arricchita da nicchie, statue e bassorilievi. Da ammirare soprattutto il bassorilievo del portale, che raffigura la Vergine mentre opera il miracolo sulla ragazza

Negli anni successivi venne costruiti gli altari laterali e quello maggiore ad opera di Pier Giacomo Manni e nel 1810 venne posizionato l’organo. Nel 1824 vennero eseguite le decorazioni degli stucchi a opera di Giuseppe Berlendis, mentre sempre dal Manni il pulpito e la balaustra.

L’incoronazione della statua della Madonna avvenne il 10 ottobre 1858 dal vescovo di Lodi Gaetano Benaglia. La corona venne trafugata nel 1914, solo nel 1920 sempre il 10 di ottobre, venne posizionata una nuova corona. Il furto si è ripetuto il 22 giugno 2017, i ladri hanno rotto il vetro antisfondamento e si sono impossessati dei gioielli che ornavano il gruppo scultoreo. Solo nel 1883 venne edificato il campanile e restaurata la cripta che ospita la statua della Vergine.

Nel 1892 viene collocato sull’abside il coro ligneo opera di Andrea Fantoni.La chiesa, a pianta rettangolare, è accessibile dal grande sagrato ed è rivolta a est-ovest. Alla sua destra il campanile del 1883 sulla cui cima è posto un angelo in rame dorato di 3,50 mt. eseguito da Giuseppe Broggi. Nelle quattro nicchie vi sono le statue dei santi Paolo, Pietro, Alessandro e Benedetto.

 

 

 

L’interno della chiesa è ad unica navata e ha due altari per lato.

Il presbiterio è posizionato leggermente più rialzato, accessibile da sette gradini. Il catino dell’abside e la volta della chiesa presentano stucchi e decorazioni in stile neoclassico eseguiti su progetto dell’architetto Giuseppe Berlendis nel 1842. Il coro ligneo è opera di Andrea Fantoni. Le tre tele presenti sono: la Fuga in Egitto opera di Francesco Capella, l’ Apparizione della Madonna di Carlo Ceresa, (la tela venne ampliata nel 1740 da Filippo Comerio, è visibile la cucitura che disturba la bellezza originaria del quadro), la terza tela dell’Annunciazione sempre opera di Francesco Cappella del 1766. L’altare maggiore, con i due putti alati che reggono la mensa, risale al 1778 ed è opera di Pier Giacomo Manni, mentre i busti argentati dei papi e i candelabri sono lavori del cesellatore Luigi Broggi datati 1866.

Sotto l'altare maggiore, invece, troviamo la cripta, ossia la stanza della piccola Venturina dove avvenne l'Apparizione

Il primo altare a destra della navata intitolato a sant’Antonio di Padova, presenta una tela di Carlo Ceresa, il secondo detto della Natività, ha una tela di Lodovico Gioia del 1530 circa. Sul lato a sinistra il primo altare intitolato alla Madonna Addolorata espone la tela di Enea Salmeggia, questa riporta la scritta con la data e la commissione. Sull’altare successivo dedicato a san Giuseppe, si trova la tela transito di San Giuseppe sempre opera di Francesco Capella. Sopra l’entrata principale vi è la tela che raffigura il miracolo del cieco nato opera del Capella.

Nella sacrestia si conserva un armadio di noce con intarsi opera dei Caniana, due stendardi di cui uno intitolato alla Beata Vergine della Ripa e san Pietro e san Paolo lavori di Enea Salmeggia, nonché numerosi quadri.Sotto il presbiterio vi è la cripta o scurolo, il luogo dove era avvenuta la guarigione di Venturina e l’apparizione della Vergine. Nella cripta vi è il gruppo scultoreo eseguito da Andrea Fantoni. La Vergine e la giovane venne realizzato nel 1702, mentre i due angeli sono nel 1713.

Santuario della Madonna del Pianto-Via Madonna del Pianto, 24021 Albino BG

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SANTA CROCE E LA MADONNA DEL PIANTO DUE CHIESE IN UN SANTUARIO

Il Santuario della Madonna del Pianto di Albino è situato all’ingresso del paese e nasce dalla fusione di un’antica Chiesa dedicata all’Invenzione della Santa Croce, di età altomedievale, con un più recente sacello intitolato alla Vergine Addolorata(XII)

Un primo edificio, di piccole proporzioni dedicato all’ Invenzione della Santa Croce era dunque già presente nei XI secolo. A questo proposito va osservato che, anche solo considerando il territorio italiano, tale dedicazione appare piuttosto rara e, soprattutto attribuita a templi di notevole antichità.

L'invenzione ( "ritrovamento") della Santa Croce ad opera di Sant'Elena, madre dell'Imperatore Costantino, avvenne a Gerusalemme nel 327 in un luogo non molto lontano dal Calvario.

Ad Albino la primitiva dedicazione alla Invenzione della Santa Croce si era in parte modificata già nel secolo XVI divenendo Santa Maria della Croce per poi assestarsi come oratorio della Madonna del Pianto .

La sua origine non risale ad una apparizione, ma ad un miracolo avvenuto davanti alla statua dell’Addolorata, venerata in una cappella laterale dedicata alla Madonna del Pianto  sul lato destro del Santuario.  Si tratta di un gruppo statuario che rappresenta la scena commovente di Gesù deposto dalla Croce. La Vergine Addolorata seduta, stringe fra le braccia il figlio morto disteso sulle ginocchia. La Vergine ha il cuore trafitto dalla lama di una spada .E’ una raffigurazione scolpita nel legno , policromata e parzialmente dorata.

In epoca barocca alla immagine dell’Addolorata sono state affiancate due altre sculture.

Alla destra vi è non, come qualcuno ha scritto,   l’apostolo prediletto S. Giovanni bensì Giuseppe d’Arimatea. Tiene nella mano un piccolo panno di forma allungata che potrebbe alludere alle bende di lino impregnate di aromi con cui il corpo di Gesù fu avvolto prima di essere coperto dalla sindone.

Alla sinistra si vede la Maddalena raffigurata con un fazzoletto strettio nella mono destra onde tergersi le lacrime, mentre con la sinistra tiene un piccolo contenitore per gli unguenti . Risale alla prima metà del 1500; dipinta la prima volta da Valerio Lupi ( di Averara in Val Brembana)  il 21 dicembre 1599 ( secondo quanto riporta una nota sullo schienale della statua)  e ritoccata nei colori altre volte in seguito. Sappiamo dalla storia che, specialmente dopo il miracolo che racconteremo, la venerazione per questa sacra effigie fu viva non solo ad Albino, ma in tutta la provincia di Bergamo. Lo riconobbe lo stesso S. Carlo nella visita apostolica ad Albino nel 1575.

In epoca successiva, ma piuttosto recente, sono state aggiunte altre due immagini , in gesso dipinto, collocate ai piedi e di lato rispetto alle quattro figure. Si tratta di una coppia di devoti genuflessi . Un uomo tiene davanti a sé un fanciullo fa pensare che si sia voluto riproporre un richiamo al miracolo di cui parleremo in seguito.

Il DELITTO

Circa l’anno 1651 viveva nel paese di Parre in Valle Seriana un fanciullo: Paolo Bigoni di Gherardo. Essendo di famiglia molto povera, all’età di soli 10 anni fu collocato  presso un pastore in Val Gandino. Mentre conduceva le pecore al pascolo avvenne che un giorno fosse spettatore innocente ed inosservato di un orrendo delitto. Alcuni briganti assalirono a mano armata un povero viandante, lo derubarono di quanto aveva e poi lo abbandonarono sulla strada coperto di ferite in seguito alla quali morì. I malandrini stavano per fuggire ma quando s’accorsero che il fanciullo Paolo ad una certa distanza, era stato testimone di quel vile assassinio, temendo che presto o tardi li avesse a denunciare assalirono Paolo e per nulla impietositosi dalle sue lacrime e invocazioni, gli recisero la lingua fino alle fauci, rendendolo completamente muto.

 

Il fanciullo per quattro anni si aggirò per i paesi della valle stendendo la mano, mendicando un pezzetto di pane per campare. Alla fine poté trovare posto come garzone in una fucina di Nembro. Poco dopo però fu licenziato e dovette lasciare Nembro e riprendere la via per il paese natio, Parre. Ma ecco che arrivato a Fiorano si incontrò con suo padre.  Insieme si rivolgono  alla Madonna e decidono di recarsi alla chiesetta del Pianto di Albino per invocare conforto e soccorso. Era il 18 settembre 1655. Si inginocchiarono devotamente davanti alla sua cappella e con gli occhi fissi al Simulacro, il padre recita tre Pater  e Ave esortando il figlio a ripetere mentalmente queste preghiere. Aggiungono anche il Credo.

IL MIRACOLO

Appena terminata la recita del Credo, il fanciullo sentì ritornata normale la lingua mozzata. Il fanciullo emette un grido di gioia e comincia a parlare speditamente. Padre e figlio sono fuori di sé dallo stupore, si abbracciano teneramente, ringraziano con lacrime la Celeste Benefattrice e riprendono la via per Parre. Quantunque non vi fossero allora mezzi di comunicazione all’infuori della parola diretta, pure la notizia strabiliante, si diffuse in un lampo per tutta la Valle Seriana, in tutta la provincia e più oltre, suscitando, intensa commozione, generale entusiasmo. Il l Vescovo di Bergamo, Monsignor Luigi Grimani, ordinò allora un severo processo di quanto era avvenuto. E la Commissione incaricata, dopo lungo e severo esame, riconfermò l’autenticità del miracolo.

Questo miracolo  aumentò grandemente la devozione alla Madonna del Pianto.

 

IL SANTUARIO AMPLIATO

Nel 1898 venne attuato l'ingrandimento del Santuario allungandolo di sette metri verso la strada provinciale. Poco dopo venne sfondato il muro retrostante al presbiterio, arretrato l’altare maggiore, ricavato un magnifico coro al centro del quale fu collocato sulla parete il celebre quadro della Pietà del Talpino. Furono pure sistemati i quattro altari laterali e la a bella cupola centrale, sostenuta da quattro colonne Ma quello che più colpisce è il grande numero di ricordi, di cuori d'argento, di quadri votivi antichi e recenti che confermano la bontà della Vergine nel consolare quanti La invocano con fede viva.

COME E’ OGGI

Orientata con l'abside verso sud-est, la chiesa presenta la sua facciata preceduta da un breve sagrato lambito dalla strada provinciale della Valle Seriana. Il sagrato continua sul fianco di sinistra della chiesa, fondendosi poi con la piazza attigua; sulla destra è limitato da una strada comunale che costeggia tutto il fianco della chiesa. La facciata è costituita da un corpo centrale più alto e di poco più avanzato rispetto ai due corpi minori; è delimitato da due lesene che, complete di base e capitello in stile corinzio composito, servono d'appoggio ad un timpano triangolare che termina la parte alta della facciata. Ai lati di questa parte centrale si trovano due porzioni di facciata leggermente più arretrati e dimezzati in altezza rispetto al precedente, si completano con una copertura a falda di bassa pendenza. I tre volumi dell'avancorpo sono aperti verso il sagrato con tre vani di passaggio di forma rettangolare. Ai lati di questa sorta di pronao si trovano due corpi con aperture di porta in contorno di vivo ben sagomato che mettono a destra nella cappella del miracolo (ex chiesa di Santa Croce) ed a sinistra nella cancelleria. Attraverso l'ingresso principale ricavato sotto il pronao, seguito da una bussola in legno, si perviene all'interno della chiesa che si presenta a croce latina con tre navate. All'incrocio delle braccia, poggianti su quattro colonne cinquecentesche in arenaria con alto basamento, si innalza il tamburo a pianta ottagonale sormontato da una cupola affrescata. I due bracci laterali presentano due cappelle con finestre semicircolari poste sopra gli altari nelle pareti di fondo. Il presbiterio, a pianta rettangolare con volta a botte, si conclude con un'abside più ampia a pianta semicircolare al centro della quale è collocato l'altare maggiore. La volta del presbiterio è decorata con stucchi e fondelli dipinti, mentre il resto della volta presenta una fitta decorazione dipinta fatta ad imitazione degli stucchi del presbiterio. I pilastri che separano le tre navate nella parte iniziale, come le quattro colonne e le lesene ai muri sono complete di capitelli in stucco sopra i quali corre la trabeazione ed un cornicione non praticabile. Nei quattro pennacchi della cupola sono dipinti a fresco i quattro evangelisti; negli otto lati del tamburo della cupola sono raffigurate scene della vita della Madonna e nella cupola l'incoronazione della Madonna in cielo. Le volte strombate delle due cappelle laterali sono dipinte a fresco; il catino absidale è suddiviso a spicchi con fregi dipinti e nei pannelli vi sono Angeli affrescati recanti i simboli della passione

LE OPERE PRINCIPALI

Nell’abside  troviamo la tela del Compianto su Cristo morto  lavoro di Enea Salmeggia detto il Talpino , firmata e datata 1624. Il Calvario è lontano sullo sfondo e il corpo di Gesù, disteso su un drappo bianco , si presenta attorniato dalle figure di otto dolenti , fra questi in primo piano santo Stefano, il protomartire collocato quasi come un protagonista. Va sottolineato che che tale presenza “estranea” alle figure normalmente protagoniste di un Compianto fa pensare che la committenza di quest’opera sia collegabile alla Confraternita di Santo Stefano di Albino.

Ai lati dell’opera del Salmeggia sulla destra è Il Cristo porta croce.

Il Cristo porta croce è di Giovan Battista Moroni ( Albino 1521- 1579) “… quel Cristo, dicevo, porta la sua croce con l’umile e smorta consapevolezza di tutte le vittime e di tutti gli agnelli; e la porta vestito di quell’incredibile lanetta rosa-arancio , quasi che addobbandolo in quel modo gli albinesi volessero renderlo meno risibile; certo infinitamente onorarlo. Infinitamente amarlo e riconoscerlo così loro unico e vero re” ( Giovanni Testori  Corriere della Sera 1979 )

Sulla sinistra il Sacro Cuore di Gesù realizzata nel corso del XIX secolo.

I due quadri laterali del presbiterio : Innalzamento di Gesù sulla  Croce e Gesù deposto nel sepolcro sono opera di Giovanni Carobio ( 1691- 1752)

Sull’altare laterale destro abbiamo una pala che raffigura la Natività di Gesù. Si tratta di un’immagine sicuramente seicentesca . Merita attenzione sottolineare come le dimensioni di questa tela sono perfettamente identiche a quelle del quadro collocato alla sua destra , opera questa firmata da Francesco Zucco  ( Bergamo, 1570 circa –  3 maggio 1627)   e datata 1617. I confronti portano a pensare che il quadro della Natività sia opera dello stesso autore.

Alla destra della pala della Natività infatti troviamo la Madonna con Bambino attorniata da sette Santi . Nella parte inferiore del quadro al centro si vede un cartiglio con la scritta FRANC. ZUCCUS F. (fecit) MDCXVII con una zucca dalla forma allungata che allude al cognome dell’artista.                      

 

INCORONAZIONE

Tante consolanti vicende, tante glorie accumulale in due secoli e mezzo intorno al Santuario fecero sorgere, nel cuore degli albinesi il  desiderio di vedere presto incoronata la statua dell’Addolorata detta anche Madonna del Pianto.  Purtroppo il 2 agosto 1914 scoppiava la guerra europea e il 24 maggio 1915 anche l'Italia entrava nel conflitto. Gli albinesi non si diedero però vinti e proprio in tale arroventato clima di guerra i combattenti stessi per i primi aprirono la sottoscrizione per l'acquisto della Corona d'oro. Era l'agosto 1916. Due mesi dopo il Capitolo Vaticano notificava al prevosto di Albino l’autorizzazione di procedere alla incoronazione della Madonna del Pianto dando l'alto incarico al Vescovo diocesano. Tuttavia si rimandò la cerimonia a guerra finita. E finalmente Albino nei giorni 19·20·21 settembre 1919 celebrò spettacolari festeggiamenti culminati colla incoronazione della taumaturga Madonna del Pianto. La corona è tutta di oro, purissimo, è tempestata di pietre preziose.

 

1463 - 1465 (preesistenze carattere generale)

 

Fabbrica dell'ex chiesa di Santa Croce, posta oggi sul fianco destro della chiesa della Beata Vergine del Pianto (un tempo dedicata alla Madonna di Albino), in seguito ad un fatto miracoloso accaduto alle figlie di Cornino da Comenduno.

Descrizione        Orientata con l'abside verso sud-est, la chiesa presenta la sua facciata preceduta da un breve sagrato lambito dalla strada provinciale della Valle Seriana. Il sagrato continua sul fianco di sinistra della chiesa, fondendosi poi con la piazza attigua; sulla destra è limitato da una strada comunale che costeggia tutto il fianco della chiesa. La facciata è costituita da un corpo centrale più alto e di poco più avanzato rispetto ai due corpi minori; è delimitato da due lesene che, complete di base e capitello in stile corinzio composito, servono d'appoggio ad un timpano triangolare che termina la parte alta della facciata. Ai lati di questa parte centrale si trovano due porzioni di facciata leggermente più arretrati e dimezzati in altezza rispetto al precedente, si completano con una copertura a falda di bassa pendenza. I tre volumi dell'avancorpo sono aperti verso il sagrato con tre vani di passaggio di forma rettangolare. Ai lati di questa sorta di pronao si trovano due corpi con aperture di porta in contorno di vivo ben sagomato che mettono a destra nella cappella del miracolo (ex chiesa di Santa Croce) ed a sinistra nella cancelleria. Attraverso l'ingresso principale ricavato sotto il pronao, seguito da una bussola in legno, si perviene all'interno della chiesa che si presenta a croce latina con tre navate. All'incrocio delle braccia, poggianti su quattro colonne cinquecentesche in arenaria con alto basamento, si innalza il tamburo a pianta ottagonale sormontato da una cupola affrescata. I due bracci laterali presentano due cappelle con finestre semicircolari poste sopra gli altari nelle pareti di fondo. Il presbiterio, a pianta rettangolare con volta a botte, si conclude con un'abside più ampia a pianta semicircolare al centro della quale è collocato l'altare maggiore. La volta del presbiterio è decorata con stucchi e fondelli dipinti, mentre il resto della volta presenta una fitta decorazione dipinta fatta ad imitazione degli stucchi del presbiterio. I pilastri che separano le tre navate nella parte iniziale, come le quattro colonne e le lesene ai muri sono complete di capitelli in stucco sopra i quali corre la trabeazione ed un cornicione non praticabile. Nei quattro pennacchi della cupola sono dipinti a fresco i quattro evangelisti; negli otto lati del tamburo della cupola sono raffigurate scene della vita della Madonna e nella cupola l'incoronazione della Madonna in cielo. Le volte strombate delle due cappelle laterali sono dipinte a fresco; il catino absidale è suddiviso a spicchi con fregi dipinti e nei pannelli vi sono Angeli affrescati recanti i simboli della passione.

Santuario B. V. Madre d. Misericordia (Zuccarello) - Nembro

Il Santuario della Beata Vergine Addolorata, conosciuto come Santuario della Madonna dello Zuccarello o semplicemente Santuario dello Zuccarello, è un luogo di culto cattolico di Nembro, in provincia di Bergamo. Il santuario prende il nome dal colle detto dello Zuccarello, e conserva l'affresco raffigurante la Pietà del 1533, oggetto devozionale dai nembresi e abitanti della Val Seriana, incoronato nel 1920.

Lungo la mulattiera che sale alla chiesa vi sono le tribuline dei Misteri del Rosario, documentate nel 1738 ma probabilmente erette nella metà del ‘600

Isolato, in mezzo ai monti che si ergono appena dietro Nembro, il Santuario della Madonna dello Zuccarello è una di quelle mete che non puoi lasciarti sfuggire se passi dalla Valle Seriana. Da qui, tutta la vallata ti si apre davanti agli occhi, regalando un’impareggiabile vista; alle spalle, i maestosi monti donano un senso di protezione e di grandezza che è difficile dimenticare nel tempo.

Su questo monte si ergeva il castello della nobile famiglia Vitalba: per volontà di Bernardo Vitalba, nel 1347, venne fondata la chiesa che rimase, fino al XIX secolo di proprietà dei Vitalba. Solo nel 1847, la chiesa divenne di proprietà della Fabbriceria della Parrocchia di Nembro.

La chiesa si erge a sud est, ha un porticato aperto, composto da 5 arcate a sesto acuto che gravano su grossi pilastri in muratura. Al centro della facciata c’è il portico a sesto acuto che funge da portone principale della chiesa.

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Le fonti storiche

Secondo la tradizione orale, un piccolo oratorio dedicato alla Madonna Addolorata fu fatto edificare da Bernardo della nobile famiglia Vitalba  in prossimità del suo castello l'8 dicembre 1374, anche se il primo atto rogato che lo cita risale al 1469. Se del castello non vi rimane traccia, la chiesa rimase invece di proprietà della nobile famiglia per ben cinque secoli. Inizialmente tra la famiglia e l'arciprete di Nembro si crearono dissidi circa il beneficio e le rendite che il luogo portava, fino al 22 dicembre 1511 quando tra il nobile e il prelato si raggiunse un compromesso.

L'oratorio fu modificato inizialmente nel 1512, con l'aggiunta di decorazioni a fresco, venendo ampliato nel 1520 con lavori di restauro, e la realizzazione del dipinto della Pietà di ignoto nel 1533. Nuovi lavori di mantenimento furono eseguiti durante il XVII secolo. La cessione completa della proprietà dai Vitalba alla fabbriceria della parrocchia di Nembro avvenne solo nel 1847.

Nei primi decenni del Novecento furono eseguiti nuovi lavori con un completo restauro dell'edificio. Furono realizzate due cappelle laterali e venne affrescata tutta la navata dal pittore nembrese Giovanni Rodigari (1885-1929), restaurati nei primi anni del XXI secolo. A ufficiale la fine del rinnovamento architettonico il santuario fu consacrato l'8 agosto 1915, e cinque anni dopo sempre nella medesima data, fu incoronato l'affresco della Pietà. Annualmente alla data dell'8 agosto si ricorda con una festa la consacrazione e la dedicazione dell'edificio alla Madonna Addolorata.

La costruzione

Del castello è rimasto ben poco: solo le tracce dell’antico fossato e all’interno una parte del muro, posto a fianco della scala per salire alla cantoria. In origine fu costruita una semplice cappella addossata alle pareti dell’antica dimora. Doveva trattarsi di un unico locale con l’ingresso dove attualmente vi è la cappella di sinistra, l’altare era di fronte. Un primo ampliamento fu effettuato nel ‘500, ne seguirono altri, l’ultimo nei primi decenni del ‘900. La facciata, realizzata anch’essa in quegli anni, presenta un ampio portico con tre arcate a sesto acuto. Nei primi anni del nuovo millennio il complesso del Santuario intorno alla chiesa è stato ampliato per realizzarvi ambienti per i pellegrini ed un Centro di Spiritualità.

 

Esterno

La chiesa è posta dislocata sulla collina detta dello Zuccarello, sopra il paese di Nembro, edificata in prossimità di un castello di cui rimane a testimonianza solo tracce del fossato. Nel 1975 fu realizzata la strada carreggiabile d'accesso al colle in alternativa all'antico sentiero. Il percorso che conduce alla chiesa è preceduto da edicole con le immagini della Via Crucis risalenti al Settecento.
Il sagrato è lo spazio comune sia della chiesa che degli edifici che sono stati costruiti nel XX secolo come ambienti d'accoglienza per i pellegrini e anche sale per incontri spirituali.
La facciata presenta un ampio portico con cinque arcate a sesto acuto, tre frontali e due laterali, i sottarchi sono decorati con disegni geometrici e con stemmi nobiliari. La facciata presenta nella parte superiore due blasoni, una della famiglia Vitalba realizzati da Giovanni Rodigari e la scritta: DOM ET BVM MATRI MISERICORDIAE; laterali due finestre centinate con inferriate e un loculo centrale atti a illuminare l'aula. La facciata a capanna, prosegue con il decoro a fresco che delimita le ali del tetto ligneo.

​L’interno

L'aula a navata unica conserva alcuni dipinti di pittori bergamaschi tra i più importanti del tardo rinascimento lombardo.Tra questi vi era il dipinto di Giovan Battista Moroni raffigurante la Madonna Addolorata che è stato oggetto di furto e non più recuperato.

L'aula, completamente affrescata nel 1913 dal nembrese Giovanni Rodigari,  è divisa in tre campate da lesene, presenta nella seconda due cappelle costruite nel 1912 che si aprono su archi a sesto acuto. I pilastri della cappella di sinistra conservano due affreschi con soggetto la Madonna col Bambino di cui uno datato 1512. La cappella di destra è dedicata alla Natività con la pala d'altare di Enea Salmeggia. Vi sono anche due grandi statue in gesso raffiguranti i profeti Isaia e Zaccaria. La terza campata anticipata dal grande arco trionfale è il presbiterio. La parete rivolta all'aula è decorata con le immagini dei santi Donato e Francesco mentre la parte superiore vi è il grande affresco dell'Annunciata e dell'Annunciate opera seicentesca di Francesco Cavagna, figlio del più famoso Gian Paolo Cavagna. All'interno del presbiterio vi è il dipinto dell'Annunciazione e della Fuga in Egitto del bergamasco Francesco Muzio.

La pala d'altare è l'affresco del 1533 di ignoto della Madonna Addolorata. L'immagine di grande impatto emotivo raffigura una giovane Madonna che tiene tra le braccia il Figlio morto in croce e con lo sguardo rivolto verso l'osservatore; accanto a lei una giovanissima dolente Maria Maddalena.

La sagrestia del santuario conserva ex voto e dipinti di difficile assegnazione.

La seconda campata presenta due piccole cappelle erette nel 1912. Sui pilastri di quella a sinistra sono visibili due affreschi di Madonna col Bambino di cui uno datato 1512.

Santuario Madonna del Buon Consiglio Villa di Serio-Via Santuario, 23, 24020 Villa di Serio BG

Viene naturale chiedersi da dove derivi, e cosa significhi, il poco usuale nome della chiesa: ‘Madonna del Buon Consiglio’(in latino Mater Boni Consilii).

Questo titolo, attribuito alla Madonna da secoli e che il Papa Leone XIII volle inserire nelle Litanie Lauretane nel 1903, e la Liturgia vi ha dedicato una festa, ha un contenuto profondamente teologico. Così scrive un teologo del nostro tempo:“Madre del Buon Consiglio è un titolo dal doppio significato.  Gesù ha realizzato il Progetto , cioè, il  “Consilium” di Dio di salvare l’umanità: Egli è il progetto di salvezza, la salvezza, il Salvatore. E’ Buono perché solo Dio è buono e perché ci arricchisce di Beni. La Madonna, in quanto madre di Gesù, il Buon progetto di Dio, è Madre del Buon Consiglio”.

Il santuario della Beata Vergine del Buon Consiglio di Villa di Serio  è posto lungo la strada che conduce fuori dal paese in direzione Nord.

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Il Santuario meta di numerosi devoti, venne costruito nei primissimi anni del Novecento sul prolungamento della chiesa quattrocentesca dedicata a Santa Maria Nascente, nei secoli passati assai più nota come chiesa della “Madonna dei Campi”. Sul territorio di Villa di Serio vi era forse già nel primo millennio la presenza di un piccolo edificio di culto dedicato a Maria, come indicherebbe lo storico Tacchi:

«in Villa di Serio che è una terra posta sulla destra riva di questo fiume, a quattro miglia da Bergamo, alcun posto fuori dall'abitato, sorge una divota chiesa intitolata nel nome della Madre Divina Fondata, come alcuni dicono, nel IV secolo dell'era volgare […]» (Notizie storiche delle apparizioni e delle immagini più celebri di Maria Santissima con aggiunte del prof. Carlo Tacchi, 1760)

La costruzione del nuovo santuario è documentata nel lascito testamentario del 14 luglio 1489 di Giacomo Galagni De' Marchesi che disponeva di due legati, uno per la costruzione della torre campanaria per la chiesa parrocchiale, e uno per l'edificazione di nuova chiesa da dedicare alla Madonna de Campis, nome che resterà fino alla fine dell'Ottocento.

La chiesa quattrocentesca, a sua volta costruita a ridosso di un più antico sacello (antica chiesa di S. Grisogono) ritenuto di epoca anteriore al XIII secolo, conserva un’interessante serie di affreschi popolari che raccontano la storia e la fede dei secoli passati. L’edificio nasce come Oratorio, inizialmente dedicato a S. Giovanni Battista. La dedicazione alla Madonna del Buon Consiglio risale al 1794.

Infatti dopo  il difficile tempo seguito alle requisizioni napoleoniche, la chiesa  rifiorì più di prima con la nuova devozione alla Madonna sotto il titolo di Vergine del Buon Consiglio.

Nel 1815 fu il cappellano don Francesco Lazzarini a introdurre la devozione alla Madre del Buon Consiglio facendo dono alla comunità di Villa di Serio di una piccola tela raffigurante la Madonna col Bambino. Il dipinto da subito divenne oggetto di culto dei villanesi e fu decisa l'edificazione di un nuovo santuario in prossimità di quello più antico non adatto a accogliere tutti i fedeli che avevano la devozione alla nuova icona. Si decise quindi l'erezione di un nuovo edificio mariano con i lavori che iniziarono nel Novecento e terminarono nel 1903. Il santuario fu consacrato il 24 aprile 1904 dal vescovo di Bergamo Gaetano Camillo Guindani il quale lo intitolò alla beata Vergine del Buon Consiglio. Si mantenne però integra l’antica, preziosa chiesa dedicata alla “Madonna dei Campi”.

I due luoghi di culto dedicati alla Madonna sono posti uno il prosieguo dell'altro. L'antico edificio presentava la facciata affrescata con tre porte d'ingresso di cui quella centrale, che era completa di un portico a due fornici, fu murata con la costruzione del nuovo santuario, mentre sono state mantenute le due laterali. La lunetta con l'affresco datato 14 ottobre 1507 della natività di Gesù è conservato nella sacrestia del nuovo santuario. L'interno si presenta molto semplice così come era d'uso nel XV secolo, interamente intonacato, anche se in origine ospitava molti affreschi, a navata unica con tre campate divise da grandi archi a sesto acuto. Il tetto con travi a vista e a due falde ospita tavelle in cotto intonacate e dipinte con raffigurazioni a fogliame e fiori.

L’attuale Santuario, edificato in stile gotico lombardo, presenta una facciata esterna, con un elegante portichetto tripartito,  in cui trovano spazio una breve scalinata con gradini in pietra di Sarnico ed un rosone contornato in pietra color rosso mattone. L’interno si struttura in tre navate dotate di tre campate ciascuna, con opere di buon pregio.

La zona del presbiterio è anticipata dall’archivolto  a sesto acuto, completamente affrescato con l'immagine dei profeti e dei patriarchi e centrali le raffigurazioni di Mosè e di san Giovanni Battista. La parte ha la copertura a crociera affrescata con le immagini dei quattro evangelisti nelle sembianze di angeli e con i simboli che li identificano. Ognuno di loro regge un cartiglio con la spiegazione del loro simbolo. Seguono poi i quattro dottori della chiesa seduti su troni nell'intento di scrivere su una pergamena dove sono leggibili alcuni dei loro insegnamenti, accanto a loro sono raffigurati i simboli del martirio di Cristo. Sconosciuto rimane l'autore anche se nel Quattrocento è segnata la presenza di un Pecino de Marchesis, forse parente dei committenti la chiesa.

La zona presbiterale a pianta quadrata, è sopraelevata da cinque gradini e ospita l'altare in marmo delimitato da balaustra con copertura a crociera. La parte termina con l'abside con catino a spicchi decorato ed è anticipata dall'arco trionfale nella cui parte superiore è dipinto il crocifisso con due angeli. Il dipinto di piccole dimensioni raffigurante la Vergine con il Bambino non è considerato di interesse artistico ma è oggetto di grande devozione mariana ed è inserito in un'importante cornice dorata

Il Corna autore di un volume sul Santuario ( 1989)  ricorda che il dipinto oggi sull'altar maggiore è una copia del piccolo quadretto della Madonna del Buon Consiglio, che il Lazzarini portò con sé da Seriate e collocò nel sacello di Santa Maria . Sulla base dello stile della copia, si propone di datarla all'Ottocento, considerando termine "post quem" il 1818, anno dell'arrivo di don Lazzarini a Villa di Serio.

L'altare maggiore, originariamente unico, fu realizzato nel Settecento in marmi policromi e conserva il dipinto Trasporto miracoloso della sacra Effigie della Beata Vergine del Buon Consiglio di  Giovanni Moriggia (Caravaggio 1796 – Caravaggio 1878)  è datato 1823

Le  due campate laterali presentano due cappelle discretamente profonde, con il relativo piccolo presbiterio completo di altari in marmo e balaustra. Il primo di questi altari laterali  fu edificato nel Cinquecento ma  San Carlo Borromeo  quando fece la visita pastorale  nel 1575, ordinò che venisse rimosso. Fu ricomposto nel 1821 e intitolato alla Sacra Famiglia .   L’altare della Sacra Famiglia ospita il dipinto di Enea Salmeggia:  Sacra Famiglia databile al primo decennio 600

Un successivo altare fu costruito e dedicato a san Carlo Borromeo presenta il dipinto   Madonna del Carmelo offre lo scapolare a San Carlo Borromeo (ambito bergamasco 1782 circa)

Gli altri due altari laterali sono dedicati alla Vergine  ( 1751-1752)  (marmo policromo scolpito, intarsiato)  e a Sant’Antonio da Padova.

La Madonna con Gesù Bambino in gloria, San Giovanni Battista, Santo Stefano, San Lorenzo e San Sebastiano di Antonio Cifrondi ( fine XVII secolo)  doveva originariamente costituire la pala dell'altare maggiore della chiesa di S. Maria in campis

Sarà Donato Calvi nel suo Effemeride sacra profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo del 1677 a descrivere la chiesa con i tre altari e a confermare la grande devozione che vi era nei villesi per questo luogo di culto.

Basilica di San Martino Vescovo-Piazza Partigiani, 8, 24022 Alzano Lombardo BG

Le prime notizie che la riguardano risalgono all'anno 1023, quando la chiesa aveva dimensioni molto ridotte. Nel corso di secoli venne sottoposta a numerosi rifacimenti, tra i quali l'intervento eseguito nel corso del XV secolo, che le diede dimensioni maggiori, dotandola di un campanile in pietra, unica componente ancora esistente ad oggi. La struttura attuale risale invece al XVII secolo: era il 1656 quando il mercante Nicolò Valle lasciò in eredità i suoi averi, che ammontavano a 70.000 scudi d'oro, alla Fabbriceria di San Martino, ente che gestiva la manutenzione della chiesa stessa. Venne quindi decisa la costruzione di un nuovo edificio di culto.

Il generoso legato testamentario  di Niccolò Valle, dal 1657 rese possibile l'ampliamento della locale basilica. La fabbriceria affidò il progetto a Gerolamo Quadrio, noto per aver assunto anni addietro la carica di soprintendente del cantiere del Duomo di Milano. La costruzione, che in base ai progetti riconosciuti come autografi dell'architetto molto doveva ai modelli del suo maestro Francesco Maria Richino, fu terminata entro il 1669 e rimaneggiata fino all'Ottocento perdendo ,soprattutto nella facciata, il suo assetto originario.

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Fu costruito un edificio monumentale, a tre navate di cinque campate ciascuna, di cui la centrale più ampia e alta rispetto alle laterali. La navata centrale fu coperta da una volta a botte innestata sulle bianche colonne marmoree della base, di stile composito. Le due navate laterali furono coperte da vele, stuccate in corrispondenza dei costoloni, in consonanza con la decorazione scultorea del "nastro” della navata centrale, opera di Giovan Angelo Sala (eseguiti tra il 1659 ed il 1670). La planimetria fu poi mossa da otto cappelle laterali, ognuna dedicata ad uno o più santi di larga devozione popolare. Così, per esempio, nelle due cappelle prossime all’ingresso (subito dopo le cappelle dedicate al Battesimo ed alla Confessione), troviamo celebrata l’antichissima devozione per San Cristoforo e per i Santi Rocco e Sebastiano, notoriamente legati al protettorato dei pellegrini e della peste. Nel lato opposto, in corrispondenza della cappella della Pentecoste, troviamo celebrati San Luigi Gonzaga e San Giovanni Nepomuceno, legati alla devozione per lo Spirito Santo. Nelle cappelle prossime all’altare, si celebrano invece la Sacra Famiglia (con Sant’Agata e Santa Maria Maddalena, protettrici dagli incendi e dalle alluvioni) e la Croce di Cristo. Ogni cappella contiene un trittico di dipinti di elevato valore artistico, opera di noti pittori veneti del Settecento, come il Piazzetta (San Cristoforo), Giambettino Cignaroli (Morte di San Giuseppe) e il Cappella (Pentecoste e Trionfo della Croce). Ogni altare è  poi arricchito di preziosi intarsi marmorei, in cui abbondano lapislazzuli e sculture raffinatissime. La più significativa e ricca tra queste cappelle è certamente quella dedicata al Rosario, sorta alla fine del Seicento al posto della vecchia sagrestia, per onorare la crescente devozione mariana locale. Progettata dal Quadrio, fu decorata nel corso di oltre due secoli con sculture delicate e raffinate, espressione di una religiosità attenta al dato interiore e di una sensibilità verso le qualità della materia. Ne sono una testimonianza il paliotto dell’altare con la Natività della Vergine ed i due angeli di coronamento dell’altare, opera di Andrea Fantoni. Ad essi si aggiunsero anche cicli pittorici di qualità elevatissima e opera di pittori di fama nazionale, fino all’ultimo ciclo che vide la Fabbriceria protagonista di commissioni  al Diotti (Benedizione di Giacobbe) all’Appiani (con Giacobbe incontra Lia e Rachele), al Camuccini (Giuditta e Oloferne) al Carnovali (Agar) al Dell’Era (Ester e Assuero) ed al Cappella (Abigail placa Davide).

Durante la riedificazione seicentesca, la zona del presbiterio fu l’unica a non subire rifacimenti e ad essere integrata alla nuova architettura, perché era già stata sistemata soltanto quarant’anni prima, con l’eredità di Bernardino Fugazza. Non si trattava di un lascito paragonabile a quello del Valle ma, certamente, con i suoi 17000 scudi, aveva consentito la sistemazione di una parte della chiesa e qualche commissione illustre al pittore Giovan Paolo Cavagna, con dipinti come il Miracolo di San Martino e San Martino in cattedra, che decorano ancora il presbiterio, l’Assunta della Cappella del Rosario e il San Martino ed il povero della controfacciata.  I fabbriceri attesero la fine del Settecento per l’adeguamento di questa zona, assegnando l’incarico di ricostruzione al ben noto architetto Giacomo Martino Caniana, cresciuto insieme al nonno ed al padre nel cantiere di San Martino. Lo spazio sul quale egli si trovò ad operare era angusto, a causa del campanile quattrocentesco. Giacomo Martino dovette quindi elaborare una soluzione illusionistica per risolvere la sproporzione tra le dimensioni della navata centrale e quelle del presbiterio. Sostituì all’abside semicircolare un abside cilindrica, del diametro di circa dodici metri, scandendo ritmicamente la sua superficie con lesene e finestroni luminosi, per equilibrare l’angustia presbiterale. Coronò poi la nuova struttura con un’ampia cupola a lacunari di evidente ispirazione neoclassica e progettando un nuovo altare nel 1796.

Al centro dell’aula domina, solitario ed imperioso, il bellissimo pulpito settecentesco (1711 1751), testimonianza della stretta collaborazione tra le botteghe di tre magistri: Giovan Battista Caniana (progetto e capocielo), Andrea Fantoni (sculture marmoree) e Gian Giacomo Manni (intarsi). La struttura, che riprende quella della coppa della Sapienza, ha significati che rimandano alla simbologia sacra della parola di Dio come luce e guida nella vita dell’uomo, ben visibile nei medaglioni e nelle sculture dei dottori della Chiesa Latina del parapetto, nei quattro telamoni del fusto e nei blasoni del capocielo.

La  chiesa fu elevata al rango di Basilica Minore nel 1923, in occasione della commemorazione della sua fondazione (1023)

 

Descrizione

Nella seconda metà del Seicento si mise mano agli apparati decorativi interni affidati in larga misura allo stuccatore luganese Giovanni Angelo Sala, già apprezzato per i suoi interventi, con la bottega, nella basilica bergamasca di Santa Maria Maggiore. Nei cinque scomparti della volta centrale il Sala fu l'artefice dei medaglioni ovali decorati da ampie volute dorate, destinati ad accogliere le Storie di san Martino (1690) di Pier Paolo Raggi e abbellì - sottolineandone l'importanza - l'imponente architrave. Fra le cinque campate che scandiscono il ritmo della navata centrale, in corrispondenza delle colonne binate lungo ciascun lato, lo stesso stuccatore realizzò l'intera sequenza delle personificazioni allegoriche a tutto tondo collocate fra gli archi. Le superfici restanti sono occupate da altre decorazioni, a stucco o dipinte, dando luogo a un insieme ridondante nel quale la sovrabbondanza - di forme, contenuti e messaggi - è un espediente tutto barocco destinato a infondere nei fedeli stupore e coinvolgimento. La stessa sensibilità, aggiornata al mutare del gusto e della ricerca artistica, si conservò nel tempo. Nel Settecento l'ambizione a voler mantenere alto il livello qualitativo dell'intera impresa decorativa spinse la committenza a emulare l'intraprendenza artistica promossa a Bergamo dove i conoscitori attirarono in città artisti foresti, in particolare veneti. Nella basilica di Alzano giunsero opere dei veneziani Giovanni Battista Piazzetta e del suo allievo Giuseppe Angeli che, dopo la morte del maestro (avvenuta nel 1754), ne portò a termine la tela (Martirio di san Cristoforo), dei veronesi Louis Dorigny e Giambettino Cignaroli e di un altro veneziano, Francesco Cappella. Il mediatore di quest'ultima commessa fu il conte Giacomo Carrara, di origini alzanesi. Fra i manufatti di notevole qualità che impreziosiscono la basilica di Alzano si evidenzia il magnifico pulpito addossato ad una delle colonne binate che scandiscono le campate della navata. Progettato da Gian Battista Caniana nel 1700, venne messo in opera negli anni 1713-1714 dallo stesso artigiano con il concorso dei suoi collaboratori più stretti, fra i quali Andrea Fantoni (artefice delle parti scultoree in legno relative alla Vita di Cristo) e i Manni ai quali (secondo la letteratura) venne affidata la raffinata lavorazione dei marmi. Materiali diversi, per forme e colori, convivono in quest'opera in un'armoniosa unità: sono tutti frammenti del Creato assemblati da mani ispirate, non soltanto dal fare artistico ma dal sentire e dal vivere lo stupore della religione in una chiave tardobarocca. Gli stessi Sala, Fantoni e Caniana furono protagonisti anche dell'abbellimento delle tre sagrestie adiacenti la basilica. Costruite fra il 1676 e il 1679, vennero decorate da un elegante apparato plastico messo in opera da Giovan Angelo Sala e dal figlio Gerolamo negli anni 1677-1691 e, nel periodo 1679-1701, dalla straordinaria impresa scultorea della bottega dei Fantoni.

Sono ambienti destinati, in origine, ai soli religiosi e per questo proiettano i riguardanti in una dimensione di profondo misticismo, commovente per il carattere intimo e intenso delle sollecitazioni religiose che infondono. Particolarmente toccante è la seconda sagrestia, ultimata nel 1690. Era destinata al raccoglimento del sacerdote precedente l'incontro con i fedeli. Sotto lo sguardo di una moltitudine di angeli colti in espressioni di incanto, dolore e concitazione modellati nella volta dai Sala, i fatti della Vita di Gesù e i Martirii dei santi sono raccontati da Andrea Fantoni con grande perizia, lungo il coronamento ligneo.

Il programma iconografico è articolato in sequenze caratterizzate da un'espressività pungente e scoppiettante. La sagrestia restituisce non solo l'immagine di un formidabile laboratorio di idee per la meditazione religiosa, ma rispecchia lo slancio con il quale gli artigiani inventarono nuove soluzioni formali, coerenti ormai alla sensibilità barocchetta.

 

L'edificio, di dimensioni notevoli, ha impianto a croce latina con transetto sporgente. L'aula è scandita in tre navate da un sistema di archi su colonne. All'incrocio dei bracci si trova un'alta cupola, poggiante su uno slanciato tiburio finestrato. Alle estremità di ciascuno dei bracci del transetto si aprono inoltre tre cappelle a terminazione quadrangolare (una maggiore, al centro, e due minori, ai lati). L'ambiente, le cui pareti e volte sono decorate ad affresco, prende luce da larghe finestre termali ricavate nei muri perimetrali delle navate minori e dalle lunette che affacciano sulla nave mediana. Eleganti bifore si aprono invece nel perimetro del tamburo. Il prospetto esterno, a salienti, è rivestito in marmi policromi ed è ornato con statue e rilievi raffiguranti la vita di san Martino vescovo. Sul fronte si aprono tre portali lunettati, dei quali quello centrale, più alto, è segnato da una struttura arcuata, in leggero aggetto, retta da colonne corinzie binate, poggianti su un unico piedistallo. Una slanciata torre campanaria (72 metri di altezza) si erge infine all'estremità nord-orientale del fabbricato.

 

Santuario Beata Vergine Addolorata (borgo S. Caterina) Bergamo-Viale Santuario dell'Addolorata, 1, 24124 Bergamo BG​

Storia

Realizzato all’inizio del Seicento in pochi anni il Santuario di Borgo Santa Caterina è già molto noto e frequentato dai fedeli sia della Città che della provincia .Uno dei motivi di questa notevole frequentazione sta nel fatto che in poco tempo si sono verificati eventi miracolosi . Si narra che nel Santuario, davanti alla immagine della Addolorata, sono stati portati due bambini, entrambi con una entrambe le gambe ustionate dall’acqua bollente ed impossibilitati a muoverle. Il Santuario era pieno di fedeli in preghiera che supplicavano la Beata Vergine di guarire i due bambini: ad un certo punto, tra la commozione e lo stupore di parenti e di fedeli, i bambini si sono alzati dalla loro barella ed hanno camminato raggiungendo i genitori. La notizia del miracolo si è subito diffusa per tutto il Borgo e poi per la Città e vi è stato un afflusso enorme di persone per pregare e ringraziare l’immagine miracolosa. Come si è detto numerosi sono stati gli eventi miracolosi registrati in questo periodo, ma questi due hanno colpito la gente ed hanno lasciato un segno profondo nella comunità dl Borgo e nella Chiesa cittadina

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Storia L’Apparizione

Aggiungiamo che la storia della chiesa è legata allo straordinario evento dell’apparizione di una stella che illuminò l’affresco della Madonna Addolorata posto sulla facciata di una abitazione.

La tradizione racconta che in un’abitazione privata situata a Bergamo presso il ponte della Stongarda aveva sulla sua facciata l’affresco della Madonna Addolorata eseguito nel 1597 da Giovanni Giacomo Anselmi pittore del XV secolo vissuto in Borgo Santa Caterina. Il 18 agosto 1602 l’affresco, che si trovava in una condizione di grave deterioramento, venne illuminato da una stella con tre raggi, e ogni raggio ne ridonò l’originario splendore. L’apparizione fu descritta da Donato Calvi nel suo Effemeride sacro-profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, sua diocesi et territorio sin’al corrente anno del 1676-77.

A seguito di questo fenomeno il vescovo di Bergamo Giovambattista Milani l’11 luglio 1603 benedisse la posa della prima pietra del santuario, che venne terminato e aperto al culto nel gennaio del 1605. L’anno successivo venne realizzato il gruppo ligneo dell’Addolorata, copia dell’affresco, che viene portato ogni anno in processione per le strade del borgo il giorno che rievoca il miracoloso evento. Il santuario venne demolito e riedificato durante il XIX secolo. Venne arricchito di numerose opere d’arte di diversi artisti quali Ponziano Loverini, Giuseppe Riva, Luigi Angelini, Tilio Nani, Antonio Rota e Giuseppe Pezzotta, e consacrato dal vescovo Gaetano Camillo Guindani il 15 agosto 1903. L’effige della Madonna presente sull’affresco dell’altare maggiore, venne incoronata il 17 agosto del medesimo anno dal cardinale Andrea Carlo Ferrari. Nel 2015 vennero effettuati lavori di consolidamento del campanile e venne completamente rifatto il castello campanario aggiungendo tre campane per completare l’intera scala musicale.                  

2. Descrizione

Esterno

All’esterno della chiesa vi è il sagrato di grandi dimensioni, dove si trova una colonna sormontata dalla statua della Madonna Addolorata opera di Antonio Abbati lì posta il 24 dicembre 1614 dal vescovo Giovanni Emo. La colonna, che originariamente era posta al centro della via, viene chiamata crocetta perché sostitui una croce che era ritenuta pericolante.

Interno

La pianta dell’edificio è a croce greca. Sull’altare maggiore è posto l’affresco del miracolo. Il transetto sinistro è dedicato alla Madonna di Loreto, ed è un dono degli abitanti di Pedrengo del 1615, per adempiere ad un voto. Sull’altare è situata la grande pala opera di Zucco che raffigura la Madonna loretana con i santi Caterina, Maria Maddalena, Sant’Evasio e Silvestro. Il santuario conserva anche dodici statue raffiguranti santi opera di Antonio Rota. Il campanile venne eseguito alla fine del XX secolo su progetto di Virginio Muzio

Cattedrale di Sant'Alessandro Martire-Piazza Duomo, 24129 Bergamo BG

IL DUOMO

La cattedrale, che nacque con la devozione a San Vincenzo, cambiò il suo titolo quando la chiesa di Sant'Alessandro, chiesa più antica della città dedicata al santo, fu demolita nel 1561 a opera dei veneziani per la costruzione delle mura venete. Come dicevamo nel 1561 venne distrutta la chiesa di sant'Alessandro in Colonna per la costruzione delle mura venete. La salma di sant’Alessandro venne quindi traslata in San Vincenzo, facendo convivere le due devozioni, e i canonici dei due differenti capitoli. Si deve al vescovo Daniele Giustiniani, che nel 1687 aveva convocato il sinodo nella chiesa ancora intitolata a San Vincenzo, ma ormai dal 1688 distrutta, l'atto di riunire il 4 novembre 1689,  in un unico Capitolo i canonici di San Vincenzo e di San Alessandro.

La struttura paleocristiana

La storia della cattedrale è stata controversa e oggetto di numerose supposizioni negli ultimi secoli a causa della mancanza di reperti archeologici e fonti scritte antecedenti l'età medievale. Soltanto durante i lavori di restauro, iniziati nel corso dell'anno 2004, sono stati rinvenuti resti risalenti all'età romana, che hanno permesso di ricostruire con particolare precisione sia gli edifici che si sono susseguiti nell'area che l'impianto urbano della zona in cui si trova il duomo. Sotto la pavimentazione difatti sono emersi differenti strati, ognuno dei quali corrispondente ad altrettante epoche.

Il più antico ha evidenziato la presenza di un primo luogo di culto paleocristiano, risalente al V secolo, del quale si era soltanto ipotizzata l'esistenza

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L'antica cattedrale di San Vincenzo

Si ritiene che il Cristianesimo nella bergamasca, venne portato dai prigionieri romani cristiani di origine orientale, i Damnati ad Metalla che erano condannati a lavorare nelle miniere di ferro e sassi in alta Val Seriana. Diventando liberi si spostarono creando diverse comunità, anche in Bergamo. Erano comunità povere che trovarono in san Vincenzo di Saragozza martire, ma vittorioso in Cristo, il patrono per il proprio diaconato.

A questo santo venne dedicato il primo luogo di culto, in stile romanico; aveva dimensioni importanti, tanto che il perimetro dello stesso era pari a quello dell'attuale, e venne costruito al centro dell'assetto urbanistico del tempo, stravolgendone l'identità. Si consideri difatti che negli scavi è stato ritrovato in buono stato un tratto del cardo cittadino, muri appartenenti a ville patrizie e mosaici risalenti al I secolo. Questo sta a indicare la notevole importanza che la comunità cristiana aveva già in quel periodo. Inoltre sono affiorate tombe di età longobarda e affreschi attribuibili al Maestro della Rocca di Angera, autore anche di altre opere in chiese della città nella seconda metà del XIII secolo.

Il primo documento che testimonia l'esistenza della chiesa dedicata a San Vincenzo è del maggio 774, il testamento di Taido fu Teuderolfo con un lascito alla ecclesia Beatissime semper virginis et Dei genitrice Marie et Sancti Voincenti ecclesie Bergomensis conservato presso la biblioteca Angelo Ma, mentre dell'840 un Privilegio di Lotario I che concede al vescovo di Bergamo Aganone la facoltà di inquisire sui beni delle ecclesiae Alexandri scilicet et Vincentii beatissimorum martyrum per sanare le usurpazioni subite[6]. Le reliquie del santo non sono mai state presenti della basilica, un documento riporta che il vescovo Ambrogio I (971-973) si recò a Cortona a prenderne la reliquia, ma arrivò con pochi giorni di ritardo, era stato infatti preceduto dal vescovo di Metz, Deodato. Ancora non si conosce il luogo dove queste reliquie siano conservate. Lo spazio antistante la chiesa era chiamato Platea Sancti Vincentii.

L'edificio attuale

A metà del Quattrocento il vescovo Giovanni Barozzi decise la costruzione di un nuovo edificio religioso di maggiori dimensioni in luogo del precedente, affidando il progetto all'architetto fiorentino Filarete, che stabilì per la nuova cattedrale, intitolata non solo a san Vincenzo ma anche a sant'Alessandro, una pianta a croce latina con un'unica navata con affiancate tre piccole cappelle semicircolari per parte e con una cupola a padiglione ottagonale, mentre la chiesa precedente era a tre navate. Non fu un lavoro facile e veloce, serviva acquisire parte delle proprietà cittadine, avendo possibilità di sviluppo solo su di un lato della piazza distruggento l'antica scalinata che dava accesso da quella che era piazza nuova al Palazzo della Ragione.

 

Il 3 maggio 1459 venne posata la prima pietra e già nel 1467 venne completata la prima cappella sul lato sinistro, dedicata a santa Caterina e san Girolamo. Tuttavia dopo un paio di anni i lavori subirono una brusca interruzione a causa della morte del Filarete e alla contestuale elezione del vescovo Barozzi a patriarca di Venezia che portò al suo allontanamento. L'abbandono dei lavori, l'incendio nel 1513 dell'attiguo Palazzo della Ragione porterà il Marcantonio Michiel nel 1516 a scrivere: la celebre San Vincenzo a giacere incolta e deserta, non essendo compiuto il ristoramento delle sue rovine.

Per circa trent'anni i lavori rimasero fermi, dopodiché proseguirono a rilento: nel 1611 venne nominato a dirigere i lavori l'architetto Vincenzo Scamozzi. Il cantiere riprese vigore sul finire del secolo quando, nel 1689, l'edificio subì una ristrutturazione a opera di Carlo Fontana, il quale innalzò la cupola, allungò l'abside e terminò finalmente i lavori nel 1693.

 

Nel frattempo, all'inizio del XVII secolo il vescovo Giovanni Emo aveva riunito i canonici e il 18 agosto 1697, il vescovo san Gregorio Barbarigo ottenne da papa Innocenzo XI la bolla Exponi nobis che stabiliva un'unica cattedrale, dedicando a sant'Alessandro quella che era stata san Vincenzo, e un unico capitolo. A san Vincenzo rimase una cappella sulla destra e il transetto con una pala dipinta da Carlo Ceresa.

La basilica venne definitivamente dedicata a sant'Alessandro nel 1704, con la traslazione delle reliquie del patrono e di altri santi bergamaschi. Di san Vincenzo non c'erano le reliquie, il vescovo Luigi Ruzzini, donò una cassa con il corpo di un martire delle catacombe di Roma di nome Vincenzo, ma questo, non poteva sopperire alla mancanza delle reliquie originali, non fu quindi mai dai cittadini considerato devozionale.

L'edificio subì altri rimaneggiamenti che interessarono sia il campanile, la cupola, la cappella del Crocifisso e l'interno nel corso del XIX secolo, epoca a cui risale anche la facciata, che venne inaugurata il 26 agosto 1889, giorno della festa di sant'Alessandr

A san Vincenzo venne dedicata la cappella laterale del presbiterio, a opera di Bartolomeo Manni con la pala di Carlo Ceresa. Del primo patrono di Bergamo ne rimangono poche tracce. Il museo del duomo permette di visitare i resti della primitiva chiesa e della sua trasformazione

Anche gli avvenimenti che vedono il cantiere sotto la direzione dello Scamozzi, chiamato nel 1611  purtroppo non possono dirsi conclusi al meglio.

Anno decisivo il 1689, quando viene definitivamente concessa l’intitolazione della Cattedrale a Sant’Alessandro ed i lavori di rinnovamento riprendono attivamente sotto la supervisione dell’architetto Carlo Fontana (di Novazzano, Canton Ticino). Un apposito documento notarile del 1688 attesta che i Canonici non intendono fabbricare una nuova chiesa, ma di servirsi dell’antica e già ampia San Vincenzo. Il 16 ottobre del 1688 Carlo Fontana comincia ad elaborare i primi studi.

Trasferitosi giovanissimo a Roma, Fontana studiò inizialmente con Pietro da Cortona e Carlo Rainaldi, per poi entrare nella cerchia di Gian Lorenzo Bernini, che fece di lui un collaboratore insostituibile. I motivi che condussero Fontana in Lombardia sono probabilmente da ricercarsi nell’assenza di committenza “istituzionale” ( dopo la morte del Bernini) e  nei rapporti personali che l’architetto intrattenne con alcune importanti famiglie milanesi.

Comunque tornando al Duomo Il 13 settembre1688 prese avvio la demolizione del campanile, che segnava, già nel progetto di Filarete, il limite orientale dell’abside e, contestualmente, una delegazione, composta da Alessandro Vertova, Defendo Vecchi e Lorenzo Bettera, si recò a Milano dal Fontana per discutere del disegno. Finalmente a metà ottobre l’architetto giunse a Bergamo rispettando così l’impegno preso il mese precedente, per verificare personalmente le misure e per elaborare e sottoscrivere il progetto definitivo: la cattedrale quattrocentesca doveva essere completata con crociera, transetto, abside e cupola. Il 14 aprile 1689 il Capitolo deliberò di accettare il progetto di Fontana, giudicato , con alcune varianti (la posizione delle porte del coro, l’altezza dell’ordine interno e la disposizione delle sacrestie)  in piena armonia con il resto della chiesa. Si iniziò così la costruzione mantenendo frequenti contatti con lo studio del Fontana  a Roma.

Basilica di Santa Maria Maggiore- Piazza Duomo, 5, 24129 Bergamo BG

La Basilica di Santa Maria Maggiore è l’edificio sacro che, più d’ogni altro, i padri della Chiesa vollero fosse come una Biblia Pauperum, una Bibbia dei poveri, un luogo in cui, chiunque, potesse comprendere attraverso l’arte il significato della parola di Dio, i contenuti spirituali della letteratura sacra. La Basilica di Santa Maria Maggiore - definita “Cappella votiva della città” – è formata da un insieme di stili e d’arti eterogenee, dei periodi compresi fra il XII e il XIX secolo, dove, temi religiosi convivono con presenze di matrice pagana o laica.In questa chiesa tutto ciò che vedete ha una funzione didattica, tutte le immagini e tutti i capolavori artistici hanno lo scopo di stimolare il visitatore a ricercare in quella dimensione spirituale che dimora in ognuno di noi. La storia racconta che, nel 1133, una forte siccità colpì le terre bergamasche e che a questa seguì una carestia e la peste.

La popolazione di Bergamo, stremata, invocò l’aiuto della Maria Vergine e promise la costruzione di una bellissima chiesa in segno di ringraziamento. Nel 1137, davanti al vescovo Gregorio e a tutta la cittadinanza, fu posata la prima pietra della Basilica di Santa Maria Maggiore.

La storia, probabilmente, s’intreccia con la leggenda: sta di fatto che la Basilica, da quella data, si erge nel cuore di Città Alta, incardinata tra piazza Vecchia e piazza Rosate, nella parte più nobile della Bergamo storica, circondata dalle mura venete. La sua centralità urbanistica e religiosa è confermata da due circostanze: la prima è che l’edificio risulta privo di una facciata nel senso tradizionale, ma ne può addirittura vantare due, se tali vengono considerate la parete del lato sud  e la parete del lato nord. Nel versante nord si apre su Piazza Duomo la porta detta dei Leoni rossi; il fianco meridionale invece affaccia su piazza Rosate con la porta detta dei Leoni bianchi. Alla base delle colonnine dei protiri (piccoli portici posti a protezione e copertura dell’ingresso principale di una chiesa) trecenteschi di Giovanni da Campione, quattro leoni rossi e bianchi in marmo sorvegliano impassibili e maestosi l’ingresso settentrionale e quello meridionale. La diversa colorazione è data dal tipo di marmo utilizzato: quello veronese per i rossi e quello di Candoglia (nella piemontese Val d’Ossola) per i bianchi

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La chiesa sorge su sui resti di un’altra più piccola già dedicata alla Madonna. Poco si conosce del costruttore, tale Magistero Fredo, individuato come uno dei maestri comacini. La chiesa fu improntata a quello stile romanico maturo tipico dell’epoca, arricchito di influssi con provenienza geografica diversificata, anche in direzione europea, ad esempio renana.

Nel 1351-53, Giovanni da Campione intraprese l’adattamento gotico della basilica con la realizzazione in marmi policromi del portale verso piazza Vecchia a tre ordini architettonici sovrapposti; il protiro dalla ricca ed elegante strombatura, una loggetta con le statue di S. Alessandro a cavallo e i SS. Barnaba e Vincenzo, un’edicola con la Vergine e le Sante Grata ed Esteria. Nel 1360 fu la volta del secondo portale, arricchito con formelle raffiguranti Cristo, gli Apostoli, immagini di Santi, oltre che con figure di manovali e lapicidi al lavoro; e nel 1367 il medesimo Giovanni da Campione, aiutato dal figlio, realizzò l’ultimo portalino nell’angolo di nord-est, con materiali più poveri e forme più dimesse.

Completa lo slancio raffinato e ascensionale di queste integrazioni la presenza, sulla parete verso piazza Rosate, di una guglia, opera di Anex de Alemania, lo scultore Hans von Fernach proveniente dai cantieri del Duomo di Milano, autore di un tabernacolo cuspidato “nordica freccia a trafori in tanta gravità di compatte forme lombarde”.

All’interno della basilica, le reminiscenze di questa stagione gotica sopravvivono solo nel recupero di alcuni affreschi, attribuiti al Maestro dell’Albero della Vita (1347), autore anche delle pitture nella parte opposta del transetto con l’”Ultima Cena” e “S. Eligio che ferra il cavallo”, e al Maestro del 1336, cui si deve un grande affresco con “S. Alessandro a cavallo” e quello della “Madonna fra Santi”.

In seguito alle prescrizioni contenute in due relazioni di Pellegrino Tibaldi del 1576 e del 1580, iniziò la trasformazioni interna della chiesa, con la soppressione di tutti gli altari laterali e di tutte le pitture a fresco. Il risultato di questa trasformazione coincide quasi alla lettera con quanto oggi si vede

Mentre l’esterno della chiesa ha conservato l’originale architettura romanica, l’interno ha subito, nel tempo, notevoli cambiamenti: la Basilica ha un tiburio ottagonale e pianta a croce greca arricchita, in origine, da 5 absidi: una grande centrale e quattro piccole ai lati del transetto. Nel 1472 però l’absidiola di nord-ovest fu abbattuta per ordine di Bartolomeo Colleoni, che in quel luogo fece costruire la propria cappella funeraria.

L'interno della basilica conserva l'impianto romanico a croce greca con tre navate divise da pilastri che finiscono con l'abside, ma la decorazione è stata realizzata nel XVII secolo dallo stuccatore Giovanni Angelo Sala con il figlio Gerolamo.

All’interno la chiesa  custodisce tesori barocchi e rinascimentali. Possiamo ammirare un bellissimo confessionale ligneo del Settecento ad opera di Andrea Fantoni. Lungo le pareti e ai pilastri sono appesi degli arazzi, in parte eseguiti a Firenze (1583-86) su disegno di Alessandro Allori e in parte di fattura fiamminga (secolo XVI-XVII), che rappresentano scene della Vita di Maria. Sopra l'arazzo che rappresenta la Crocifissione, eseguito ad Anversa nel 1698 su cartoni di Ludwig van Schoor, è il dipinto di Luca Giordano con il Passaggio del Mar Rosso (1681).

Gli stalli del coro e le tarsie dell'iconostasi, che raffigurano racconti biblici, (il Passaggio del Mar Rosso, il Diluvio Universale, Giuditta e Oloferne e Davide e Golia) sono stati eseguiti tra il 1522 e il 1555 su disegno di Lorenzo Lotto da Giovan Francesco Capoferri e Giovanni Belli. Le differenti cromie sono date dal diverso tipo di legno, mentre sfumature di colore e profondità d'immagine sono ottenute con infusi d'erbe e utilizzo di sabbia calda.

Da non dimenticare le volte decorate con stucchi e oro che racchiudono diversi dipinti tra cui Il Padre Eterno crea il Firmamento del Cremonino e Caino uccide Abele del Panfilo. Il tiburio è anch’esso decorato con stucchi e dipinti, al suo centro si trova l’affresco di Giovan Paolo Cavagna rappresentante L’incoronazione della Vergine. Intorno ad esso ci sono una serie di affreschi Angeli musicanti e i dieci profeti.

Ma …una curiosità

Nel 2015 , anniversario dei 750 anni di fondazione della Congregazione della Misericordia Maggiore , per festeggiare al meglio la ricorrenza fu deciso di restaurare la grande tela  raffigurante Il diluvio universale che “Il Cav. Pietro Liberi pittore a Venezia” fece nel 1661 , su commissione della Congregazione, per la Basilica di Santa Maria Maggiore .

Dopo circa due anni è stato restituito alla città un capolavoro ancora poco conosciuto e un punto di riferimento importante dell’intera opera pittorica di Pietro Liberi.

Un restauro impegnativo (il telero è di 34 metri quadrati di superficie per circa 4,5 quintali di peso)  affidato a Antonio Zaccaria .  Per la rimozione (ostacolata dall’imponente bussola lignea) dalla parete meridionale del transetto della Basilica si è dovuto mettere a punto un progetto specifico e particolarmente elaborato  che ha permesso di calare il manufatto grazie a un sistema di funi e tiranti.

Le POLEMICHE

“Vale la pena ricollocare l'immenso telero del Liberi in Santa Maria Maggiore, da poco restaurato, a ricoprire quella commovente prosecuzione dell'Albero della Vita la cui riscoperta (letteralmente) nel 2015 ha ormai assuefatto della sua bellezza i bergamaschi e non manca di stupefare i turisti col naso all'insù?”

L'Albero della vita è  un affresco dipinto da un maestro ignoto tra il 1342 e il 1347 al tempo delle lotte fra Guelfi e Ghibellini, che la recente letteratura critica riferisce ad un anonimo artista di raffinata cultura ricca di elementi lombardi ed emiliani, a cui viene dato il nome di Maestro dell'Albero della vita. L’opera, scoperta nel 2015 grazie appunto alla rimozione del Diluvio, occupa l'intera parete del transetto a sud della chiesa . L’Albero si ispira al «LignumVitae» scritto dal francescano Bonaventura da Bagnoregio intorno al 1260 per consentire al fedele di comprendere il senso della vita di Cristo, fino al sacrificio della vita, alla crocifissione alla glorificazione. L'affresco doveva essere una catechesi illustrata, una Biblia pauperum, esattamente come il sonetto del francescano, per meglio ricordare ai fedeli la vita di Cristo, doveva avere dunque un'azione parlante a supporto alle predicazioni verso i fedeli che in quel tempo difficilmente sapevano leggere . Ora precisiamo che  l’affresco dell’Albero della vita, è solo in parte coperto dal Diluvio ed è la parte nascosta la meglio conservata: è ora evidente infatti quanto la parte visibile, non “protetta” dal telero sia decisamente sbiadita rispetto a quella superiore. Ancora: la  grande cornice in stucco realizzata per racchiudere il dipinto del Liberi si sovrappone a parte dell’affresco non più quindi perfettamente fruibile.

IL DILUVIO UNIVERSALER

Nel Diluvio Universale , piacevole nella sua la ritmica orizzontale, si coglie appieno  la complessa formazione dell’artista: dal  gigantismo di matrice michelangiolesca, all'attenzione del tutto nuova per le contemporanee prove di Luca Giordano, pur senza dimenticare la tradizione veneta, in questo caso tintorettiana. Il dipinto racconta il celebre episodio del "Diluvio Universale", tratto dal libro della Genesi (7; 8, 1-19), presentato, con una scelta insolita,  nell’attimo in cui il vento costringe al ritiro i nembi minacciosi della tempesta per lasciare spazio al ritorno del mondo alla luce e alla vita.

Nei corpi dei sopravvissuti, che hanno ormai raggiunto la terra ferma,  è evidente la  grande robustezza di risalti plastici, la stessa che trasforma le nubi sollevantesi a fatica in un fumo denso e acre.   Tutt’attorno, sorta di coprotagonista,   una straordinaria apertura paesaggistica resa con una pennellata capricciosa e violenta, fatta di tocchi rapidi e di macchie ove la fluidità dell’impasto e la tenerezza fiorita in cui il colore si scioglie  lega  per via di qualità di materia le persone e gli elementi scenici .