Alta Via delle Grazie

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Arte & Cultura

Art and Culture

TAPPA 4 : ONETA SANTUARIO DEL FRASSINO-PARRE

Miniere Costa Jels Gorno-24020 Gorno BG

Gorno  è un piccolo borgo situato nella val del Riso, una valle laterale della Val Seriana.

Il territorio di Gorno, dal 2009 riconosciuto come ecomuseo. È stato il risultato finale di un percorso di recupero dell’antica trazione mineraria e naturalistica del paese e finalizzato alla sua valorizzazione.

Era luogo di estrazione di minerali metalliferi per la produzione di piombo e zinco.

Le miniere di piombo e zinco di Gorno erano già conosciute e coltivate in epoca romana, quando il minerale rossastro ora noto come calamina veniva frantumato ed unito al rame per formare quello che gli antichi chiamavano "auricalcum" che non è altro che il nostro ottone.

Ancora oggi sono ancora ben riconoscibili gli impianti minerari ormai dismessi: gallerie, teleferiche, binari, tramogge … Costa Jels era un crocevia molto trafficato.

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Oggi questo ambiente ricco di storia è tutto da scoprire e grazie al museo delle miniere si può ripercorrere il “viaggio dello zinco”, ovvero dall’estrazione del minerale al prodotto finale curiosando tra centinaia di oggetti, documenti, foto dell’attività di miniera a testimonianza della dura vita dei minatori.

Il complesso minerario Costa Jels, riguarda una miniera dismessa di blenda e calamina, che ha coltivato un giacimento colonnare e ospitato nei calcari del Metallifero Triassico,  in Val del Riso e Val Parina.

I siti minerari di Costa Jels sono i più antichi della zona: qui si può scoprire l’esperienza unica di un minatore di Gorno rimasto sepolto vivo in una miniera per 9 giorni.

Si passa quindi al Museo con le sue attrezzature, il materiale e gli esplosivi utilizzati per l’estrazione; alla visita dell’ala dedicata all’ufficio tecnico minerario ed al al laboratorio chimico dove si ha la possibilità di partecipare alla trasformazione del materiale in metallo (ciclo produttivo). Per terminare con l’esposizione mineralogica ed esposizione di fossili.

Dopo una panoramica della valle, si prosegue all' ingresso del sito minerario con visita alle postazioni di lavoro riferito al periodo storico 1950. La Lunghezza totale sotterranea è di circa 500 metri.

Si entra all’imbocco “Serpenti” e dopo un’ora in miniera, alla temperatura costante di circa 10 gradi, si uscirà alla “Lacca Bassa” per tornare al punto di partenza lungo un caratteristico sentiero panoramico nel bosco lungo il quale ci sono strutture di cantieri.

Si rivivranno situazioni produttive nella memoria dei “minadur” (minatori), delle “taissine” (cernitici di minerale) e dei “galecc· (ragazzi addetti al trasporto a spalla di minerale).

Chiesa/Cripta Servo di Dio Don Antonio Seghezzi – Premolo

Don Antonio Seghezzi

Nato a Premolo il 26 agosto 1906, entra in seminario a undici anni e nel 1929 diventa sacerdote. Prima insegnante poi cappellano militare in Eritrea, nel 1935 entra in Azione Cattolica dove cresce il suo impegno spirituale e la sua generosità sacerdotale. Parla per lui la sua vita, fatta di radicalità evangelica. Una via che impatta con la violenza del nazifascismo, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 sceglie «la strada dei monti» per stare accanto ai tanti ragazzi che lì avevano riparato. «Non incitò alla resistenza attiva – spiegò don Mario Benigni, suo compagno di prigionia in Germania – ma ad una resistenza passiva». Intanto i nazifascisti minacciano rappresaglie contro il clero e Azione Cattolica per questo, su consiglio del suo vescovo, si consegna spontaneamente e si lascia arrestare il 4 novembre 1943. Subito malmenato e torturato, processato e condannato a cinque anni di lavoro coatto in Germania, poi scontati a tre, viene deportato e costretto ai lavori forzati in una fabbrica di munizioni a Löpsingen. Il 23 aprile del 1945, ormai malato, viene trasferito nel lager di Dachau. Le sue condizioni di salute peggiorano e il 21 maggio 1945, con il campo già liberato, e alla vigilia del suo rientro in Italia, don Antonio muore. I suoi resti vengono ritrovati solo nel 1952 e vengono poi traslati in Italia, dal 2006 riposano nella chiesa parrocchiale di Premolo.

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CRIPTA

Il 20 agosto 2006 Monsignor Roberto Amadei  Vescovo di Bergamo ha dedicato questa Cripta a don Antonio Seghezzi

l percorso sotterraneo e gli elementi presenti generano un luogo in pietra runica che, attraverso la presenza di espressioni artistiche cromaticamente uniformi, esalta il rapporto tra contenitore e contenuto.

Ne deriva un’aula ricca di vibrazioni e di sonorità ambientali, per effetto di un antinomia della luce naturale con quella arificiale.

La fiamma da origine ad una paratia che da quota zero si innalza gradualmente incontrando in progressione la teca di don Antonio, l’ambone luogo della Parola e della Luce di Cristo, fino al Tabernacolo, testimonianza di Attenzione, la Gloria, di Amore, per poi incontrare  la sede del celebrante e dei ministranti.

L’andamento prospettico delle pareti e della copertura guida il pellegrino in un percorso conoscitivo: la materia filtrata dalla luce mette in risalto alcune frasi tratti dagli scritti dello stesso Don Antonio.

Un particolare nodale della pianta relativo all’avvicinamento all’aula è in prossimità del punto di incontro dei due “percorsi conoscitivi” a sezione variabile.

L’andamento della pavimentazione e la luce naturale che filtra dai lucernari posti in copertura contribuiscono a valorizzare questo “tracciato” che guida il visitatore al “cuore” del progetto

Santuario Madonna delle Lacrime Incoronata - Piazza del Santuario, 24028 Ponte Nossa BG
 

Le origini del Santuario all’ingresso di Ponte Nossa si fanno risalire al 1511, quando alcune pastorelle videro lacrimare l’occhio sinistro della Madonna presente nella Crocifissione attribuita a Giacomo Busca.

Nel pomeriggio del 2 giugno 1511, alcune fanciulle pascolano il loro gregge presso la cappella, chiamata dei Sette Fratelli Martiri, intrattenendosi in giochi. Ad un certo momento, una di loro solleva gli occhi verso l’immagine e vede che il volto della Madonna cambia colore, da pallido a rubicondo e quasi nerastro. Osservando più attentamente, nota che le pupille della Vergine si aprono e si chiudono e che dall’occhio sinistro esce sangue in abbondanza. Poiché l’immagine non è molto alta, la ragazza si avvicina, e con il grembiule terge quelle lacrime sanguigne, anche per assicurarsi se siano reali o soltanto apparenti; il grembiule ne rimane macchiato. Piena di meraviglia, lei rimane estasiata ed ecco una voce soave le dice: «Ai primi che passeranno da questa via, farai osservare questa mia Apparizione, e dirai che te l’ha detto la Beata Vergine, la quale ordina che qui sia fabbricata una chiesa a suo onore, dove farà molte grazie». All’incertezza della ragazza che chiede «Mi crederanno?», la voce risponde «Mostra il grembiule tinto di lacrime»! La lacrimazione continua a lungo, così che i passanti ne sono testimoni. La gente accorre per constatare di persona il prodigio. Tra i tanti, giunge anche un uomo a cavallo, in lacrime, tenendo le briglie tutto tremante, mentre il cavallo, indocile al freno, sta per scappare a rompicollo. Gli astanti lo fermano, aiutano il cavaliere a scendere e lo conducono davanti alla sacra immagine. I documenti riferiscono che quell’uomo, incredulo, diventa improvvisamente cieco, ma pentitosi riacquista la vista. Le testimonianze oculari dei fedeli sono redatte in un documento da pubblico notaio e presentate dal parroco don Gerolamo Donati al Vicario generale del Vescovo di Bergamo.

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 Il miracolo condusse presto alla nascita di una Chiesa più grande, consacrata circa sessant’anni dopo. Semplice e severa è la facciata in pietra grigia del Santuario; al suo interno, oltre all’immagine miracolosa all’altare destro, spiccano il polittico cinquecentesco attribuito alla bottega dei Vivarini sull’altare sinistro e un interessante ciclo affrescato dei primi del Novecento in stile preraffaellita. Colpisce anche la presenza della pelle mummificata di un coccodrillo, lunga circa 3 m, sospesa all’inizio della navata destra e qui presente almeno dal 1594. Diverse le leggende fiorite intorno al rettile: si trattava dell’animale ucciso a Rimini da un cavaliere del luogo o forse di un pericoloso infestante delle acque del Serio, catturato e portato in Chiesa come ringraziamento alla Vergine.

Il coccodrillo

L'animale imbalsamato si trova sul fondo della navata destra a lato dell’ingresso nel santuario Madonna delle Lacrime). La “lucertola marina” e la sua originale collocazione sono al centro di numerosi studi, spesso controversi, nei quali giocoforza si incrociano fantasia, leggenda e realtà documentali. Una delle ricostruzioni legate alla presenza dell’animale vuole che nel 1518 tale Bonelli de’ Ferrari, mercante di Premolo, avesse ucciso (o forse semplicemente acquistato) l’alligatore a Rimini, portandolo “per grazia ricevuta” al cospetto della Vergine, che gli diede la forza per colpire l’animale alla gola uccidendolo.

Una seconda ricostruzione, racconta di un antico lago dove a Nossa viveva “un gran lucertolone”, che un giorno stava per inghiottire una madre con un bimbo. La donna in preda alla disperazione implorò la protezione della Madonna: all’improvviso giunse un cacciatore che uccise l’animale, quindi lo imbalsamò e lo portò in chiesa.

Secondo documenti rintracciati negli anni ’80 , si trattava di una sorta di “dono” portato in chiesa dai sindaci della chiesa di S. Maria alla fine del ‘500, e successivamente rimosso. Nel ‘700, ritrovato in soffitta durante lavori di restauro del Santuario e ritenuto legato a un qualche ex voto, il coccodrillo è stato definitivamente ricollocato sul fondo della navata e mantenendo un sostanziale mistero sull’effettiva origine e moltiplicando la curiosità di studiosi e visitatori.

Mangiava solo vergini. E morì di fame

La cultura popolare annovera anche un racconto scherzoso, secondo il quale “un tempo un coccodrillo risaliva il fiume Serio, mangiando solamente vergini. Arrivato a Ponte Nossa morì di fame”.

Museo del maglio: Via dei Magli, nr 7, Ponte Nossa

Percorrendo la strada che attraversa l’abitato di Ponte Nossa non è difficile intravedere, vicino alla confluenza del fiume Nossa con il fiume Serio, la zona dei magli, edifici destinati alla lavorazione dei metalli. Si tratta di un’attività pre-industriale che trova esempi analoghi nella bresciana Valle Camonica o in altre zone d’Italia caratterizzate dalla presenza di vene metallifere ferrose e di fiumi o torrenti con buona portata d’acqua.

Il fiume Nossa è di soli 500 metri di lunghezza, ma possiede una portata notevole e costante. Le acque oggi captate per alimentare una parte della rete idrica di Bergamo e della sua provincia costituivano un tempo la fonte di energia per il funzionamento dei magli.

Le acque, oggi captate per alimentare una parte della rete idrica di Bergamo e della sua provincia, costituivano un tempo la fonte di energia indispensabile per il funzionamento dei magli. Non si conosce la data d’inizio di tale attività. La prima fonte scritta esistente, riguardante i magli, non risale oltre il 1512, ma è certo che la lavorazione dei metalli nell’area di Ponte Nossa ha radici molto più profonde; il “regesto Guerinoniano” menzionerebbe un atto di vendita risalente al 1446, identificabile con “il maglio maggiore” che però è stato costruito nel XVIII sec. e quindi riguarderebbe uno dei due magli a nord del ponte.

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Si può affermare quindi con notevole certezza che i magli, di cui la prima documentazione risale all’anno 1000, hanno cominciato probabilmente a battere in questa valle dal XII-XIII sec. Tutta la valle ha una forte valenza proto-industriale: la proto-industria siderurgica lavorava per lo più su ghisa prodotta in val di Scalve ma proveniente anche dalle miniere di Lizzola e Valbondione.

Il minerale, estratto dalle miniere delle vicine valli, subiva una prima lavorazione nei forni fusori di Gavazzo frazione di Valbondione, dove era trasformato in ghisa; dalla ghisa, in altri forni fusori, come quello sempre nella valle Dossana, situato più a monte, si passava all’acciaio che, a sua volta, era ridotto in lingotti e verghe pronti per la forgiatura e destinati ai tre magli oggi denominati Maglio minore, Maglio grande e Maglio maggiore. Il materiale grezzo arroventato nelle fucine veniva convertito in chiodi per lo più di cavallo, nel XVI sec; se ne producevano, anche “5000 pesi” (40 t) e poi in utensili per l’edilizia e l’agricoltura come badili, vanghe, zappe, ecc. Il maglio grande verrà abbandonato all’inizio del XX sec. Il maglio minore gestito dal sig. Beltrami fu tenuto in funzione fino al 1964; lasciato andare in rovina, nel 1984 verrà trasformato, dall’allora Amm.ne Comunale in museo; il maglio maggiore condotto dal sig. Valoti rimarrà in funzione fino al 1984 e poi verrà a sua volta abbandonato. Nell’arco dei secoli, la valle Dossana fu sede non solo di magli, ma anche di mulini (fino a sette), gualchiere, forni fusori, “di un edificio con una ruota, dove si pestava la rusca di pighera per li curami (cuoio) e un’altra per “confettori di pelli” e nell’ultimo secolo anche di una segheria e di una centrale elettrica. Lungo questo fiume si lavoravano anche il rame, il bronzo e lo zinco estratto dalle miniere della zona.
Il ferro estratto nelle miniere delle vicine valli di Scalve e Bondione veniva trasportato presso il maglio fusore, per la valle Bondione quello di Gavazzo, per essere trasformato in metallo grezzo destinato a tre altri magli oggi denominati Maglio Minore o Beltrami, Maglio Grande e Maglio Maggiore, collocati poche centinaia di metri più a valle, lungo la sponda destra del fiume.
Qui, dopo essere stato arroventato nelle fucine, veniva trasformato in utensili per costruire e coltivare come chiodi, mazze, badili, zappe e vanghe, oppure giungeva direttamente sotto forma di verghe, pronte per la forgiatura. A partire dal XV secolo, periodo per il quale si ha la prima menzione scritta dell’esistenza di fucine a Ponte Nossa, ma probabilmente anche a partire dalle epoche precedenti, si era dunque progressivamente costituito un complesso sistema nel quale trovavano posto anche mulini e gualchiere per la lavorazione della lana, realtà in buona parte scomparse, ma delle quali sono giunte, fino ai giorni nostri numerose testimonianze

 

MUSEO

La sede del museo è il Maglio detto Minore, un maglio siderurgico che serviva per la produzione di utensili per le miniere come badili o picconi, e per l'agricoltura (falci, zappe). È costituito da un locale principale e da altri due adibiti a esposizione didattica. Cartelli e disegni illustrano con chiarezza le fasi di lavorazione, gli utensili usati e quelli fabbricati, di cui alcuni esemplari sono appesi alle pareti. Nel locale centrale si trovano, ben conservati ma in parte ricostruiti, il gran martello con il manico costituito da un tronco (mosso da un albero motore in legno) e la pesante mola ancora azionabili, a scopi didattici, dalle due ruote visibili all'interno dell'edificio

Il maglio museo è suddiviso in quattro sale. In esse il visitatore può riscoprire le tracce dell’attività svolta nel corso dei secoli dai lavoratori del ferro; nella sala centrale può ammirare l’unico maglio della ValSeriana ancora funzionante che sfrutta l’acqua proveniente dal fiume Nossa; in una seconda gli attrezzi prodotti dalla lavorazione del ferro e in un’altra sala i modelli esposti gli permettono di osservare anche i particolari delle macchine nascosti alla vista; nella quarta vi sono pannelli illustrativi e, in vendita, alcuni libri che parlano della storia del paese. All’esterno dell’edificio sono visibili le due ruote per maglio e mola e le canne per la tromba idroeolica: un meccanismo di produzione dell’aria per la fucina. Pannelli illustrativi permettono, anche autonomamente, di capire l’attività svolta in passato. Una guida aiuterà il visitatore a riscoprire come il museo sia un luogo di vita.

Parre: paese ricco di storia, tradizioni, costumi e specialità gastronomiche 

Il Comune di Parre si estende su un territorio di 22,48 Kmq. La forma si può configurare come un poligono irregolare con ampiezza massima in direzione nord-sud di circa Km. 7,50 e in direzione ovest-est di Km. 3,50 nei pressi del fiume Serio, posto a quota 470 s.m. per svilupparsi a nord su un altopiano fra quota 600 e 650 s.m. e successive pendici montuose fino a quota 2320 s.m., il tutto a destra, in senso orografico, del fiume.

E’ costituito dal paese di Parre (Par) situato sul vasto altopiano in soleggiata posizione sulla destra del fiume Serio, e dalle frazioni di Ponte Selva, sorta alla fine dell’800 proprio sulla riva del fiume, di Sant’Alberto e Martorasco, piccoli nuclei abitati più antichi, posti anch’essi sul lato destro della Valle del Serio, lungo la strada per Valbondione.

Per secoli terra di pastori e di contadini, Parre diventa a fine Ottocento fonte di manodopera generica e specializzata per le miniere di blenda e di calamina del Monte Trevasco e per gli stabilimenti tessili di Ponte Nossa e Ponte Selva.

Il nome del paese, secondo alcuni studiosi, deriverebbe dal celtico “Paar”, che significa località elevata, spaziosa.

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La zona dove sorge Parre era già abitata in epoca preistorica: lo conferma la quantità di reperti archeologici in bronzo ritrovati in località Castello, grazie a diverse campagne di scavo, che hanno anche consentito di individuare i resti di un insediamento preistorico.

Il toponimo PAR di origine celtica, prima latinizzato e poi diventato PARRE nel corso dei secoli, per alcuni studiosi significa "luogo alto", per altri "campo grande".

Dopo i ritrovamenti casuali del 1883 e gli scavi realizzati dal 1983 al 1994 viene considerato "un sito emblematico del mondo alpino" e va guadagnando consistenza l’ipotesi che Parre sia PARRA l’"oppidum Orobiorum" ricordato da Plinio nella sua "Naturalis Historia", con riferimento ad un passo di Catone.

Infatti sul terrazzo fluviale sovrastante Ponte Nossa sorgeva fin dall’età finale del bronzo, un insediamento abitativo, continuato fino ad epoca tardo-romana.

La "Villa de Parre", ovvero un abitato rurale a Parre, viene citato anche in un documento del 928.

Alla fine del XII secolo, compiuti i necessari atti di emancipazione, avviene l’istituzione del Comune governato da due consoli.

 

Dopo aver subito le conseguenze di lotte civili e dell’alternarsi di varie Signorie, la Valle Seriana Superiore, di cui Parre ha sempre fatto parte, mandò i propri rappresentanti a Venezia per dichiarare la fedeltà della Valle alla Serenissima e per chiedere aiuto e protezione.

La dominazione della Repubblica di Venezia, caratterizzata dalla conservazione delle istituzioni già in uso, terminò nel 1797 con l’arrivo delle truppe francesi.

Né il successivo dominio austriaco né le vicende del Risorgimento hanno mai particolarmente turbato i parresi, che han sempre mostrato "uno spirito pubblico generale quieto".

Per secoli Parre è stata una terra di contadini e di pastori, che d’inverno portavano le greggi nell’Oltrepò pavese e in Piemonte e d’estate percorrevano le vallate valtellinesi e poschiavine e fornivano lana a Gandino e a varie tessiture della Valle.

Il paese ha conservato intatta la caratteristica divisione in due nuclei ben distinti: Parre inferiore (Par sota) e Parre superiore (Par sura).

Il paese si è poi allargato inglobando quasi tutte quelle zone come l’Aghèr, Costa Erta, Campella, Valzella, una volta destinate all’agricoltura.

Di questo passato restano suggestive tracce in antiche case dotate di possenti muri in pietra, bei loggiati, finestrelle, colonne ed archi, come la casa Cominelli a Parre sotto, culla dei Baroni Belleboni divenuti in Austria i principi Von Paar, o come quelle accanto all’arco di S. Cristoforo o di via Tiraboschi.

I tesori artistici più rilevanti sono però conservati nelle chiese, la Parrocchiale, dedicata a S. Pietro, e la chiesetta di S. Rocco.

Incantevoli per l’ambiente ed il panorama sono anche l’oratorio della SS. Trinità sul monte Cusen (sec. XVI-XVIII) e quello di S. Antonio a Monte Alino (sec. XVII)

Piatti tipici

 

Ciò che appartiene alla tradizione ma la cui pratica non è mai stata abbandonata, sono i famosi scarpinocc, peculiarità del paese. Si tratta di ravioli con ripieno , conditi con formaggio e burro fuso, tanto squisiti da attirare numerosi acquirenti anche da fuori provincia.

La peculiarità degli scarpinocc sta nel fatto che a differenza dei ravioli bergamaschi (chiamati casoncelli - casonsei in dialetto) il ripieno è rigorosamente di magro cioè composto da pane grattugiato, formaggio e spezie, mentre il casoncello bergamasco permette anche la carne e uva passa.

Altro piatto tipico è il capù: costituito da una foglia di verza ripiena di grana e pane gratuggiato ed altri ingredienti, che viene bollita

Il sito archeologico

Il sito di Parre in Località Castello pare possa essere identificato con il Parra Oromobiorum oppidum citato da Plinio, su notizie tratte dalle Origines di Catone.

Nel 1883, proprio in località Castello proprietà Cominelli, era stato rinvenuto durante lavori agricoli un ricchissimo ripostiglio di manufatti in bronzo, deposto nel V secolo avanti Cristo: dei più di 1.000 Kg. di bronzi facevano parte lingotti a panella piano-convessa ed oggetti prevalentemente ornamentali, frammentati, uniti a scorie di fusione e carboni.

La parte residua del ripostiglio, in gran parte rivenduto e rifuso subito dopo la scoperta, fu salvata dall’archeologo Gaetano Mantovani ed è oggi conservata al Civico Museo Archeologico di Bergamo.

Nel 1983, a distanza di un secolo e proprio in occasione delle iniziative per commemorare il ritrovamento, durante un sopralluogo sul sito si notarono in superficie frammenti ceramici dell’età del Ferro che indiziavano l’esistenza di un insediamento, confermato anche dalle tracce di strutture murarie evidenti su una foto aerea della zona (volo Regione Lombardia 1975).

La Soprintendenza Archeologica della Lombardia diede quindi inizio ad un’indagine preventiva al piano di lottizzazione, già avviato, dell’area. Nel corso delle undici campagne di scavo condotte tra il 1983 ed il 1994 su oltre 2000 mq.è stato così portato alla luce un abitato  - che doveva estendersi su una superficie complessiva di oltre 13.000 mq – fondato nella tarda età del Bronzo e sviluppatosi durante la prima e la seconda età del Ferro fino alla conquista romana delle vallate alpine in età augustea. Dopo un’interruzione di alcuni secoli, in epoca imperiale romana (II-V secolo) la vita riprese con un insediamento stabile che ripropose il medesimo impianto ortogonale, riutilizzando in parte i resti delle strutture precedenti. Nel V secolo il luogo fu definitivamente abbandonato con uno spostamento dell’abitato in un’area a Nord, più agevole ed estesa e già interessata da frequentazione romana, permanendo ad uso agricolo fino ai giorni nostri.

Un sistema di abitati protostorici in Valle Seriana

L’abitato del Castello di Parre è parte di un sistema articolato di abitati duraturi che nella medesima Valle Seriana si collocano a controllo delle strette di valle  (Casnigo – Castello, Bracc e Colzate – S. Patrizio, individuati con la ricerca di superficie), delle confluenze delle valli laterali, dei percorsi interni e delle risorse minerarie (oltre a Parre – Castello, Castione della Presolana –Castello)

 

L’Antiquarium  a Parre

 

Raccoglie i reperti ritrovati durante gli scavi intrapresi dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia dal 1983 al 1994.

Da segnalare l’abbondante materiale ceramico che mostra un’alta frequenza di olle e dolii di impasto grossolano di forma ovoide o cilindrica, databile al Bronzo recente (XIII secolo a. C.) e Finale (XII – X secolo a. C.).

Della prima e media età del Ferro si possono trovare reperti diagnostici dell’ambiente alpino retico: frammenti di boccale tipo Breno, una rondella in pietra (manufatto che pare peculiare della cerchia prealpina vicentino – veronese) con iscrizione in alfabeto nord- etrusco, un ciottolo con coppelle ed incisioni, accanto a rari recipienti dei Celti golasecchiani che abitavano il colle di Bergamo (frammenti di ciotola a labbro rientrante e piede ad anello in ceramica rosso-corallina e qualche frammento in ceramica etrusco – padana).

Della seconda età del ferro sono stati raccolti frammenti di un probabile alare decorato a cerchielli impressi, recipienti con decorazione rustica ad impressioni a polpastrello e unghiate, ciotole troncoconiche su piede ad anello in ceramica di impasto, dramme padane in argento, oggetti d’adorno di gusto nuovo, come le fibule tipo Cenisola, tipo Nauheim, tipo Misano, associati ad elementi romano – repubblicani e a recipienti d’ambito alpino quali i boccali tipo Dos de L’arca e tipo Lovere.

Possiamo trovare testimonianza di una sepoltura da bambino, rinvenuta a ridosso delle strutture abitative, oltre che di un piccolo deposito, forse di tipo votivo, del I° secolo a. C..

Materiali ceramici e monete sono stati rinvenuti in gran numero nei livelli superficiali dell’abitato pertinenti all’età romana: il fatto testimonia come gli Orobi di Parre già nel II – I secolo a. C. risultino integrati con il nuovo mondo romano, di cui usano monetazione e manufatti

Il sito di Parre in Località Castello pare possa essere identificato con il Parra Oromobiorum oppidum citato da Plinio, su notizie tratte dalle Origines di Catone.

 

 

Casa della Pierina Parre: testimonianze di oggetti d’epoca

La Casa della Pierina a Parre è un’abitazione in uso fino a pochi anni fa, dove leggere il tempo passato attraverso le testimonianze degli oggetti d’epoca presenti al suo interno.

 

La Pierina era la sarta del paese: entrare nella sua casa permette al visitatore di capire come si viveva ad inizio Novecento a Parre. La struttura della casa risale al XVI secolo, ben conservata e visitabile, e si sviluppa su tre piani: è possibile vedere i locali della cucina, il “selter”, cioè la stanza più fresca della casa che fungeva da frigorifero, il laboratorio di sartoria della Pierina, la stalla, le camere da letto, la stanza per la lavorazione del miele, la soffitta.

Visitare la casa della Pierina è fare un viaggio all’indietro nel passato, in una casa della Parre di inizio Novecento. Tra i molti oggetti e utensili della vita quotidiani, tanti sono stati realizzati interamente a mano dal padre di Pierina, riciclando spesso materiali di scarto, in modo da ridurre al più possibile le spese della famiglia ingegnandosi con ciò che già si aveva in casa. Inoltre è ben documentata la specializzazione della Pierina, la sartoria, attraverso i suoi quaderni con appunti, riviste di moda dell’epoca, disegni, nastri, pizzi.

Casa della Pierina Parre: testimonianze di oggetti d’epoca

La Casa della Pierina a Parre è un’abitazione in uso fino a pochi anni fa, dove leggere il tempo passato attraverso le testimonianze degli oggetti d’epoca presenti al suo interno.

 

La Pierina era la sarta del paese: entrare nella sua casa permette al visitatore di capire come si viveva ad inizio Novecento a Parre. La struttura della casa risale al XVI secolo, ben conservata e visitabile, e si sviluppa su tre piani: è possibile vedere i locali della cucina, il “selter”, cioè la stanza più fresca della casa che fungeva da frigorifero, il laboratorio di sartoria della Pierina, la stalla, le camere da letto, la stanza per la lavorazione del miele, la soffitta.

Visitare la casa della Pierina è fare un viaggio all’indietro nel passato, in una casa della Parre di inizio Novecento. Tra i molti oggetti e utensili della vita quotidiani, tanti sono stati realizzati interamente a mano dal padre di Pierina, riciclando spesso materiali di scarto, in modo da ridurre al più possibile le spese della famiglia ingegnandosi con ciò che già si aveva in casa. Inoltre è ben documentata la specializzazione della Pierina, la sartoria, attraverso i suoi quaderni con appunti, riviste di moda dell’epoca, disegni, nastri, pizzi.

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